(tratto da un post della Rete per la Sicurezza sui posti di lavoro - nodo Sicilia)

Il datore di lavoro  è in colpa in caso di infortunio dei dipendenti, al di là delle situazioni specifiche di ulteriore responsabilità, qualora non abbia controllato meticolosamente l'osservanza delle misure di sicurezza da parte loro.

A precisarlo è la Cassazione con la sentenza 34747, depositata lo scorso 11 settembre 2012.
In seguito alla morte di un dipendente che, durante l'attività di preparazione delle luminarie in occasione di una festa religiosa, rimaneva folgorato, il Tribunale penale condannava i soci amministratori per il reato di omicidio colposo, poiché gli stessi erano stati imprudenti, imperiti e negligenti nell'osservanza delle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro, nonché per la mancata adozione di precauzioni idonee a scongiurare il verificarsi di eventi pericolosi. Infatti, ha precisato il giudice del merito, il lavoratore, durante la fase di verifica del corretto funzionamento dell'impianto, avrebbe dovuto utilizzare un tester anziché un cicalino, strumento risultato assolutamente inadeguato per la sicurezza dell'elettricista.

In seguito, la pronuncia è stata confermata in grado di appello: secondo la Corte, il decesso dell'operaio si sarebbe potuto agevolmente evitare se il lavoratore fosse stato munito di guanti isolanti, non avesse utilizzato strumenti artigianali per testare le lampadine, non avesse lavorato su un impianto sotto tensione e, infine, se fossero stati predisposti i normali dispositivi di sicurezza atti a interrompere l'erogazione di corrente elettrica in caso di dispersione.

La causa è poi arrivata alla Cassazione, che ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e ha ritenuto fondato il ragionamento del giudice d'appello, poiché i conduttori dell'impianto erano sprovvisti di rivestimento isolante adeguato sia alla tensione sia alle condizioni ambientali. Non solo, ma il lavoratore era sprovvisto, tra l'altro, dei guanti isolanti che avrebbero, con ragionevole certezza, impedito la folgorazione pur in caso di contatto delle mani con la corrente elettrica. In altri termini, le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire la sua incolumità anche nell'ipotesi in cui – per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore o altro – egli si sia venuto a trovare in situazione di particolare pericolo.

Il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori alla predisposizione di misure idonee. Ma – prosegue l'estensore – è doveroso un controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla tentazione di trascurarle. Così, i giudici di Cassazione concludono affermando che il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante della integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi a informare gli addetti sulle norme antinfortunistiche previste, attivandosi invece, e controllando sino alla pedanteria, affinché tali norme siano assimilate dai dipendenti nella ordinaria prassi di lavoro.

La sentenza richiama un lontano insegnamento delle Sezioni unite che, con sentenza 6168/1989, ebbero modo di statuire che, al fine di escludere la responsabilità per reati colposi, non è sufficiente che i soggetti garanti impartiscano le direttive, ma devono controllarne con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza. Del resto, le stesse norme antinfortunistiche impongono al datore una continua sorveglianza dei lavoratori per evitare imprudenze e prevenire infortuni.