Dal giornale il manifesto del 24 giugno
2008
Le
proposte della «Rete per la sicurezza»: non toccare il Testo unico, più risorse
per gli ispettori
Una carovana per sconfiggere precarietà e morti bianche
m. rav.
C'è la storia dell'Ilva di Taranto, che
vanta un triste record di morti, ci sono Marghera e la
Thyssen. Ci sono Milly, Rita, Serkalem che si battono con Action per avere una casa. E poi Dario e Salvatore di Palermo che lottano per una dignità sul
posto di lavoro, che sia la scuola o i cantieri del porto. Ci sono gli
operai di Dalmine e della Marcegaglia,
colpita pochi giorni fa da un nuovo incidente. In piazza
Barberini, venerdì, si è ritrovato un mondo che si
batte per un lavoro più sicuro. Un'assemblea pubblica sotto il ministero del Welfare è stata l'ultima tappa della carovana della Rete nazionale
per la sicurezza sul lavoro. Un viaggio che però non si ferma: «A settembre -
spiega Margherita Calderazzi dello Slai Cobas - lanceremo uno
sciopero generale che coinvolga tutte le categorie».
La marcia, dal 13 marzo in poi, ha attraversato i luoghi più a rischio
dell'industria italiana dal porto di Ravenna alla Fiat
di Melfi, passando per il petrolchimico di Marghera. La
Rete nasce a fine 2007, all'ombra
delle ciminiere dell'Ilva di Taranto, per dire basta alle morti bianche e per
rilanciare una nuova stagione di diritti e giustizia, costruendo un network tra
tutte le realtà in «emergenza». Ne fanno parte sindacati
di base, movimenti, artisti e giuristi. La carovana ha raccolto tra i
lavoratori diverse proposte per integrare il testo unico sulla sicurezza, «che
non va toccato come vuole fare Berlusconi, ma
migliorato e applicato». Ed è sulle sanzioni che gli
organizzatori premono di più: «I gravi incidenti devono essere qualificati come
"delitti" - afferma Giuseppe Gaglio
dell'Istituto Tumori di Milano - e deve essere esteso il reato di omicidio colposo e volontario, così come ipotizzato da Guariniello per la
Thyssen». La delegazione, ricevuta dal ministro Sacconi, ha chiesto: maggiori risorse per gli
ispettorati del lavoro, riconoscimento degli infortuni invalidanti, più tutele
per le donne, che più di altri patiscono gli stress della precarietà, e diritto
di cittadinanza per i migranti.
Proprio con i lavoratori stranieri è nata un'unità di intenti
positiva. In piazza Barberini
insieme a Simona Panzino di Action «A» c'erano le donne che lo scorso 8 marzo
hanno dato vita all'occupazione di uno stabile di via
Lucio Sestio a Roma. Ventuno donne
e 13 bambini che stanno recuperando la struttura dove abitano. Tutte
hanno esperienze di lavoro non regolare: «O le fai "in nero" oppure
stai a casa e alla fine del mese l'affitto non lo
riesci a pagare» racconta Rita dal Perù, con due
bambini di 6 e 7 anni. Serkalem, etiope, dopo anni di
«nero» finalmente è stata assunta in una ditta. Rita, peruviana, fa un paragone
con la Spagna:
«Vi ho vissuto e lì non c'era questa disuguaglianza
tra uno stipendio di una donna e quello di un uomo, in Italia noi prendiamo la
metà». La questione di genere è uno dei punti centrali per la
Rete: «Le donne - conclude Donatella
Anello di Palermo - sono tra le principali vittime della precarietà, che
talvolta porta a gravi conseguenze sull'apparato riproduttivo, con disturbi
mestruali e rischi per la maternità».