comunicato nazionale

Lo Slai cobas per il sindacato di classe lancia e partecipa alla campagna nazionale contro il collegato lavoro che ben oltre il mero attacco all'art.18, vuole attaccare su tutti i fronti i diritti dei lavoratori e aprire la strada al bersaglio grosso la sostanziale abolizione dello Statuto dei Lavoratori, nel quadro del regime neocorporativo e moderno fascista in costruzione la campagna richiede in questa fase informazione dettagliata sui posti di lavoro, costruzione di un fronte unitario dal basso del sindacalismo di base e di classe, che sappia raccogliere tutte le energie esistenti alla base del sindacalismo confederale e del movimento di opposizione politica e sociale per poter promuovere una mobilitazione senza precedenti che contribuisca alla polarizzazione sociale e politica in funzione di raccogliere la sfida di padroni e governo e andare allo scontro frontale e prolungato.
 

Solo un fronte dal basso e non i ceti politici della falsa opposizione a sinistra e i ceti dirigenti sindacali del sindacalismo confederale e dello
stesso sindacalismo di base può costruire nel tempo questo scontro inevitabile e necessario
 

Per questo in ogni fabbrica, in ogni posto di lavoro, sul territorio su ogni tema, dalla precarietà e disoccupazione alla sicurezza e salute sul posto di lavoro, dai diritti degli immigrati all'attacco alla spesa sociale ecc.

Bisogna costruire questo fronte necessario un fronte che unisca da subito assemblee e azioni dirette questi tre mesi vanno usati per questo, l'autunno per lo scontro

Slai Cobas per il sindacato di classe coordinamento nazionale cobasta@fastwebnet.it 21-3-2010


nel quadro della prima fase , quella della informazione , il nostro impegno è documentare e dare spazio, diffondere sui posti di lavoro, come nei mass media tutte le prese di posizioni, tutti i documenti , tutte le iniziative da qualsiasi parte sindacale e politica provengano, come parte del lavoro del fronte dal basso importanti sono i contenuti e non gli autori.


Un intervento sul Collegato Lavoro



martedì 09 marzo 2010
Pubblichiamo un intervento di Carlo Guglielmi, Avvocato Ass. Giuristi
Democratici di Roma e del Collegio legale di SdL intercategoriale,
sull'approvazione del Collegato Lavoro - Il disegno di legge 1167 B, il
cosiddetto "collegato lavoro", è stato approvato in via defintiva lo scorso
3 marzo 2010. La legge non emette alcun giudizio di disfavore sugli abusi
nei rapporti di lavoro né mai sostiene che obiettivo della stessa sia
limitarne il ricorrere, ma pare ritenere che l'abuso ed in particolare il
precariato divenga un fenomeno da contrastare solo laddove incontri e
reagisca con la magistratura.
E ciò si ottiene rendendo tendenzialmente impossibile adire l'autorità
giudiziaria e, per i pochissimi fortunati che riuscissero mai a superare
tutti gli ostacoli frapposti, viene disposto che il vaglio del giudice debba

limitarsi ai soli aspetti di regolarità formale dell'atto contestato senza
alcuna analisi delle concrete ragioni sottostanti e comunque viene impedito
alla magistratura di valutare l'entità effettiva del danno provocato dal
datore prevedendosi un modesto tetto massimo, e ciò anche con effetti
retroattivi.
Al di là quelli che saranno gli effettivi esiti interpretativi dello stesso
(ma non si può continuare a sperare per sempre nella sola tenuta della
magistratura), l'intenzione della maggioranza parlamentare che lo emana è
chiarissima. Sul punto si ritiene come il punto davvero qualificante -
addirittura un manifesto ideologico - sia l'intenzione di eternizzazione di
ogni forma di precariato. Ciò avviene dapprima introducendo la facoltà di
stipulare un clausola compromissoria di devoluzione alla giustizia arbitrale

(art.31, punto 9) di qualsivoglia futura controversia, certificabile anche
retroattivamente rispetto a diritti già entrati nel patrimonio del
lavoratore e anche futura rispetto a contratti non ancora stipulati, e
comunque con spese degli arbitri a carico del lavoratore (art. 31, punto 7,
comma 11). E poi imponendo comunque a tutti i precari (contratti a termine,
lavoratori somministrati, co.co.pro) un termine decadenziale di 60 giorni
dalla scadenza del contratto per impugnarlo (art. 32, punto 2). Tale
termine, per altro, si applica anche ai rapporti già cessati inclusi quelli
stipulati anteriormente al 2001 in base alla previgente legge 230/62 (art.
32 punto 4) avendo i precari - compresi quelli che a tutt'oggi hanno un
nuovo rapporto precario in corso di effetto con il datore e legittimamente
sperino nell'agognata stabilizzazione - l'onere di impugnare tutti i
precedenti contratti degli scorsi decenni in 60 giorni "con decorrenza
dalla..data di entrata in vigore della presente legge".
Ciò, nell'assordante silenzio della stampa e delle organizzazioni sindacali
al riguardo, nulla è quindi se non un immenso condono tombale gratuito per
tutti gli abusi compiuti nel ricorso al lavoro precario sino ad oggi. A tale

primo onere decadenziale, altresì, se ne aggiunge un secondo di 180 giorni
per l'avvio dell'azione giudiziaria (o di 60 giorni in caso di infruttuoso
esperimento del previo tentativo di conciliazione, art.34, punto1 comma 2)
nell'implicito auspicio che laddove non sia il precario ad essere incorso in

decadenza lo sia l'organizzazione sindacale a cui si è rivolto con i suoi
avvocati, prevedibilmente affogati dalla mancanza di una norma di
progressivo raccordo tra la vecchia e la nuova disciplina.
A ciò si aggiunge come, per i pochissimi che saranno riusciti a superare
tutti tali ostacoli, "il controllo giudiziale è limitato
esclusivamente..all'accertamento del presupposto di legittimità e non può
essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche,
organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al
committente" (art. 30, punto 1), Ed altresì comunque qualsivoglia violazione

alle norme imperative di legge non condurrà più al rimedio previsto dal
diritto comune che si applica a qualsiasi cittadino, ovverosia la nullità
parziale e la supremazia dell'accordo dissimulato su quello simulato con
conseguente stabilizzazione del rapporto in capo al reale datore di lavoro e

risarcimento dell'effettivo ed integrale danno patito, ma (per i soli
precari) si prevede un risarcimento del danno nella misura comprese "tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità" applicandosi tale precetto sia
ad una multinazionale che ad un'impresa individuale con unico dipendente
(art.32, punto 5). E per altro "in presenza di contratti ovvero accordi
collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di
lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche
graduatorie, il limite massimo dell'indennità ..è ridotto alla metà" (art.
32, punto 6).
Altresì tale limitazione ha valore anche retroattivo pure sui giudizi già
"pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge" ed anzi il
Legislatore impone, intervenendo nuovamente sulle facoltà di conduzione del
processo rimesse ai Giudicanti, di fissare "alle parti un termine per
l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed
esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di
procedura civile " (art.32, punto 7). Il necessario punto di caduta del
combinato disposto di tali previsioni, e comunque e certamente l'esplicito
intento dei suggeritori della normativa, è che l'obbligo di impugnare entro
60 giorni dalla cessazione del rapporto i contratti a termine o co.co.pro o
di lavoro interinale, renderà impossibile giustiziare tutti quei casi (e
cioè praticamente tutti) ove il lavoratore speri nella richiamata in
servizio che avviene solitamente con intervalli maggiori a tale termine. Ed
infatti se a ciò si aggiunge che in caso di vittoria (divenuta ipotesi assai

improbabile stante gli stringenti vincoli alla valutazione del giudicante)
si potrà avere solo alcune mensilità, se ne evince l'assoluta
irragionevolezza per il lavoratore di impugnare nei 60 giorni successivi
alla scadenza del termine perdendo il posto ancorché precario e rinunciando
definitivamente alla aspettativa di essere richiamati in servizio, e
l'assoluta irragionevolezza per i datori di assumere a tempo indeterminato.
Ed infatti i "vecchi" restano tutelati dall'art. 18 S.L. (con effetti
ripristinatori e risarcitori reali) mentre i precari saranno liquidabili con

piccole o piccolissime somme, e ciò solo nei rari casi in cui essi non
incappassero prima nella clausola compromissoria, nella doppia decadenza o
nell'obbligo di vaglio solo formale della regolarità dei loro contratti, A
ciò, last but not least, va altresì infine aggiunto come - per le sole
controversie dei lavoratori a progetto che sono state oggetto della
procedura di stabilizzazione di cui alla finanziaria del 2008 (ed il cui
unico contenzioso ad oggi noto riguarda solo circa un centinaio di
controversie tutte attinenti alla nota vicenda Atesia) - si prevede come le
sentenze che hanno condannato l'azienda a ripristinare il rapporto con i
lavoratori illegittimamente a progetto e risarcire ad essi l'effettivo danno

e condannato al pagamento delle dovute differenze retributive oltre alla
regolarizzazione previdenziale, dovranno essere riformate essendo il Giudice

"unicamente tenuto a indennizzare il prestatore con un'indennità di importo
compreso tra 2,5 e 6 mensilità", da cui anche il prevedibile onere di
restituzione delle somme medio termine percepite e di quelle versate agli
enti fiscali e previdenziali con l'unica eccezione delle somme erogate in
forza di "sentenze passate in giudicato"(art.50).
La normativa si pone ovviamente in aperto contrasto con l'Europa. Ed
infatti: a) la Carta di Nizza prevede il dovere degli Stati membri
dell'Unione di "promuovere l'applicazione e rendere effettivo l'esercizio
dei diritti" (art. 51,1) sociali e al lavoro ed in particolare quello
relativo "alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato" (art. 30)
nonché il dovere di tutelare "l'indipendenza del Giudice" (art.47); b) la
Direttiva 1999/70/CE prevede l'obbligo per il legislatore nazionale di
"creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di
una successione di contratti a termine" che invece da oggi non potrà più
essere giustiziata trovandosi il precario innanzi all'alternativa tra
impugnare il primo singolo contratto (perdendo ovviamente sia il posto che
ogni speranza di essere richiamato) o proseguire nel rapporto precario
decadendo pressoché da qualsivoglia tutela per l'avvenuta illecita
successione; ed altresì prevedendo tale direttiva una clausola di non
regresso di cui la presente legge rappresenterà vistosissima violazione; c)
l'Art. 6 della CEDU prevede che "ogni persona ha diritto ad un'equa e
pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale
indipendente e imparziale costituito per legge", precetto ugualmente violato

dagli impossibili termini decadenziali e dalla clausola compromissoria oltre

che dagli effettivi retroattivi e modificativi su controversie già in corso
o addirittura già definite con sentenze di primo o secondo grado.
Ed ugualmente il disegno di legge si pone in contrasto con i nostri precetti

costituzionali avendo già chiarito la Corte Costituzionale la necessaria
"effettività" della sanzione rispetto all'abuso e, con la sentenza n. 214
del 2009, l'incostituzionalità di una normativa che preveda come "situazioni

di fatto identiche risultino destinatarie di discipline sostanziali diverse"

e comunque la non conformità a Costituzione di qualsivoglia onere di
attivazione del lavoratore in corso di rapporto (categoria a cui certo deve
considerarsi appartenente il lavoratore con contratto a termine nullo nei 60

giorni dopo l'interruzione di fatto del rapporto e nell'aspettativa del suo
imminente ripristino poi puntualmente verificatosi). Si configurerebbe
inoltre una violazione dell'art. 104 Cost. che garantisce l'autonomia del
Giudice, nonché ovviamente degli artt. 10 e 117 Cost. che impongono di
rispettare la normativa europea in quanto fonte di norme sovraordinate
rispetto all'ordinamento nazionale.
Ma questo attiene al conflitto giudiziario che seguirà tale norma, che non
ridurrà certo il contenzioso ma solo renderà difficilissima la
giustiziabilità dei diritti, e che - come accade ogni volta che le leggi
siano scritte sotto dettatura degli studi legali impegnati nel contenzioso
di pochi imprenditori vicini al potere - è prevedibile farà molti danni
anche ai datori di lavoro seri che hanno bisogno di certezze e non di
scorciatoie.
Ciò che ora è possibile fare è invece una valutazione di ius condendum. Come

è noto l'Italia è rimasto l'unico paese in Europa a non avere già approvata
o in discussione su proposta della di maggioranza una legge sul reddito. Ciò

che si intende fare con il disegno di legge 1167 è il tentativo di portare
un definitivo attacco "generazionale" all'unica forma di reddito di
cittadinanza sussistente: il lavoro e il salario. Al riguardo va ricordato
come il lavoro precario nella sua grandissima parte riguardi i giovani (e
nella porzione residua per lo più il lavoro femminile e migrante) e che su
essi graverà sostanzialmente anche il peso della clausola compromissoria,
avendo i "fissi" adeguati strumenti per sottrarsi al necessario consenso
coatto alla sua stipula.
Ciò detto la scelta di rendere il precariato l'unica ed ingiustiziabile
forma futura di miserabile arruolamento al lavoro e al reddito nell'assenza
di qualsivoglia introduzione di forme di welfare per tali categorie, è la
precisa scelta di fondare la politica economica del paese sullo sfruttamento

e l'incertezza a vita della generazione dei ventenni e dei quarantenni (e
delle donne e dei migranti). Gli istituti di tutela del precariato nacquero
quale presidio contro "le incertezze e l'abuso" (si veda la relazione
parlamentare alla legge 230 del 1962). E' davvero urgentissima una grande
battaglia per affermare che le incertezze devono essere tutelate con forme
generalizzate di sostegno al reddito e tutti gli abusi repressi con la
massima fermezza e con effetti ripristinatori e reali "davanti a un
tribunale indipendente e imparziale costituito per legge".
Carlo Guglielmi