9 MARZO, UNO SCIOPERO PRIVO DI CREDIBILITA’ E DI PROSPETTIVE
Lo sciopero della FIOM del 9 marzo deve venire valutato non solo sulla base
degli obiettivi che dichiara di proporsi e di voler perseguire, ma anche sulla
base dell’intera politica portata avanti, nel corso degli anni da questa
componente sindacale. Questo comporta anche la necessità di valutare se la
stessa FIOM sia effettivamente in grado di garantire credibilità, incisività e
prospettiva alle parole d’ordine dello sciopero. Nel caso di una risposta
negativa i metalmeccanici, gravati anche da una precisa responsabilità nei
confronti di strati più vasti di lavoratori, si troverebbero di fatto a dover
scegliere tra due possibilità, da un lato investire risorse collettive in una
battaglia che continuerà ad essere condotta male e che risulterà sempre più
perdente, oppure assumere consapevolmente il dato che la pesantezza della crisi
e dell’offensiva capitalistica, padronale e governativa pone di fronte a delle
alternative secche e radicali: o rimanere schiacciati dall’iniziativa del
capitale dei suoi governi e delle sue istituzioni o lavorare alla costruzione
dell’iniziativa e dell’organizzazione indipendente, sia sul piano sindacale che
su quello politico, degli operai, dei lavoratori e dei movimenti di lotta.
Si tratta quindi in primo luogo di valutare obiettivamente la politica seguita
dalla FIOM negli ultimi anni. Questo da un lato a fronte all’attacco della FIAT
e del capitale, dei padroni e delle banche, dei governi e delle varie forze
politiche di potere, il tutto supportato dai sindacati confederali, e dall’altro
a fronte ai crescenti tentativi padronali e governativi di limitare, anche
attraverso lo stesso attacco all’art.18, i margini di manovra e l’agibilità
politica e sindacale di questa componente sindacale. Ed è qui che non si può non
rilevare come la FIOM abbia sempre operato come una componente portante della
CGIL. Evitando sempre di rompere l’unità interna e supportandone sostanzialmente
ed in modo decisivo tutte le scelte ha sempre dimostrato di non essere disposta
a sottrarsi alla linea ed ai condizionamenti di tale sindacato. E’ così che ha
anche favorito le sconfitte che si sono susseguite nel corso degli anni sul
piano degli interessi, dei diritti e delle condizioni di vita e di lavoro dei
lavoratori. Il tutto sino alla situazione attuale in cui la stessa
contrattazione nazionale e l’intero statuto dei lavoratori sono già di fatto
derogabili dai padroni e dai sindacati confederali.
In secondo luogo si tratta di considerare se la stessa FIOM possa comunque oggi
garantire credibilità, incisività e prospettiva per lo meno alla lotta per la
difesa dello Statuto dei lavoratori e della contrattazione nazionale. Nella
situazione attuale una lotta effettiva in rappresentanza anche solo di alcuni
interessi di fondo della classe operaia non solo è incompatibile con l’internità
alla CGIL, ma è anche impossibile da attuarsi senza una precisa disponibilità
politica ad operare per la rottura della pace sociale e per la relativa apertura
di una prospettiva di scontro frontale tra le classi sociali. Da questo punto di
vista la FIOM è del tutto interna alla società civile ed al quadro politico e
sociale dominante. Come tale è costretta dalla propria concezione, dalla propria
linea e struttura organizzativa, dal tipo di quadri e di legami con i partiti di
potere e con le istituzioni, dagli interessi e strati sociali a cui è
principalmente legata, ad operare da un lato per suscitare iniziative dei
lavoratori da usare come merce di scambio per tentare di salvaguardare e
migliorare -anche nella stessa CGIL- i propri margini di contrattazione e spazi
di potere, e dall’altro per passivizzare, dissipare e tradire, tutte le lotte
dei lavoratori che possano minacciare, espandendosi e radicalizzandosi, di
andare ad acquisire un significato politico e di diventare portatrici di una
prospettiva di fuori-uscita proletaria e popolare dalla crisi capitalistica.
Se è dunque vero che ogni mobilitazione dei lavoratori, ed i particolare degli
operai, è un occasione per lo sviluppo di elementi di coscienza di classe, è
anche vero che lo sciopero del 9 marzo rischia nel complesso di diventare
controproducente nel momento in cui cerca di presentarsi, per tutti i lavoratori
e per l’intera opposizione politica e sociale, come una rilevante iniziativa e
scadenza di lotta. Il 9 marzo è in realtà un operazione funzionale alla volontà
di rilanciare un blocco politico e sociale che, conciliando da una parte con la
CGIL e di fatto, tramite essa, con gli stessi sindacati confederali, il PD e
persino con lo stesso governo Monti, dall’altro si proponga di far convergere
FIOM, sinistra sindacale ed istituzionale (da SEL al PRC), settori portanti del
sindacalismo di base (si pensi alla scelta incomprensibile ed errata dell’USB di
aderire allo sciopero FIOM del 9 marzo) sino a certi settori della sinistra
movimentista ed antagonista. Un blocco che operando per mettere al centro una
fallimentare prospettiva di presenza di ricostruzione di una “nuova sinistra”
mira anche a blindare sotto il profilo egemonico il “territorio
politico-sociale” con l’obiettivo di inglobare, vampirizzare e passivizzare le
dinamiche sociali, politiche e soggettive di classe.
Proprio lo sciopero del 9 marzo va quindi anche letto sotto questo duplice
profilo, quello rappresentato dal tentativo di ricostruire una sinistra
istituzionale, oggi allo sfascio, e quello di rivitalizzare questa stessa
prospettiva, anche con il fine di garantirgli uno sbocco a livello parlamentare,
con l’inserimento di forze nuove provenienti da settori dei movimenti (si pensi
agli ‘indignados’, a quello dell’acqua, dei “beni comuni” e persino del NO TAV)
e da settori del sindacalismo di base (dalla confederazione cobas sino alla
oscillante USB).
Si tratta di un’operazione e di una prospettiva con cui i lavoratori e tutte le
forze sindacali e politiche di classe devono rompere con grande chiarezza e
decisione. Si tratta di ostacolare un tentativo che è volto a rinforzare
un’egemonia nel movimento politico, sociale e sindacale di opposizione che, dal
punto di vista dei lavoratori, è fallimentare o persino controproducente.
Tutto questo significa che oggi contro questa prospettiva bisogna porre al
centro la costruzione di un polo sindacale e politico di classe capace di
rappresentare in modo coerente, determinato e radicale, gli interessi e
l’iniziativa di opposizione e di lotta degli operai, dei lavoratori e dei
movimenti di lotta, sapendo che tutto questo è inscindibile dalla necessaria e
vitale apertura di una nuova fase di irriducibile scontro di classe. Questa
costruzione va oggi costruita attraendo e collegando tutte le migliori forze
operaie, quelle sindacali e quelle politiche di classe, verificandone i passaggi
di convergenza nella pratica di fronte ai lavoratori, praticando e promuovendo
la democrazia proletaria e rompendo con ogni settarismo.
SLAI COBAS TRENTINO