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IL 30 GENNAIO 2008 SI E’ CONCLUSO IL PROCESSO IN PRIMO GRADO SEDE CIVILE DEL TRIBUNALE DI VENEZIA GIUDICE FERRETTI, PER LA RICHIESTA DEI BENEFICI DI CUI ALLA LEGGE SULL’AMIANTO, RELATIVAMENTE A 62 LAVORATORI DELL’EX FELTRIFICIO VENETO DI MARGHERA, PROCESSO AVVIATO DALLA ASSOCIAZIONE ESPOSTI AMIANTO. ALTRO PROCESSO CON UN PO’ MENO LAVORATORI E’ STATO AVVIATO DA CGIL-CISL-UIL ED E’ ANCORA IN CORSO.

LA SENTENZA, CHE SARA’ RESA NOTA A BREVE, HA RICONOSCIUTO INCREDIBILMENTE A SOLI 8 LAVORATORI E LAVORATRICI DEI VARI REPARTI, LA ESPOSIZIONE MINIMA PER ACCEDERE AI BENEFICI PENSIONISTICI DELLA LEGGE.

AL PROCESSO ERANO PRESENTI UNA DECINA DI LAVORATORI. IN ASSEMBLEA SI ERA DECISO DI NON DARE ALIBI AD ULTERIORI RINVII, E DI RIMANDARE LA PROTESTA AL DOPO MOTIVAZIONI.
IN PRECEDENZA SI SONO SVOLTE 5 ASSEMBLEE TRA OTTOBRE E DICEMBRE SCORSI, CON IL SOSTEGNO DI SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE, CHE SONO SERVITE A FORNIRE CHIAREZZA ED A DEMISTIFICARE LA INCREDIBILE PERIZIA GRILLO CHE PER LA SECONDA VOLTA IL GIUDICE FERRETTI AVEVA CHIESTO A QUESTO PERITO, PERIZIA CHE HA STABILITO APPUNTO L’ESPOSIZIONE MINIMA SOLO PER 8 LAVORATORI. NON ERA POSSIBILE A QUEL PUNTO DEL PROCESSO ULTERIORE DIBATTIMENTO, PER QUANTO LE COSE QUI RIPORTATE SIANO GIA’ STATE RELAZIONATE DAI LAVORATORI, LORO, IN QUANTO PARTE RICORRENTE, NON POTEVANO ASSURDAMENTE ESSERE SENTITI COME TESTIMONI.

SI ANDRA’ ORA ALL’APPELLO.

QUI LA NOSTRA RELAZIONE DOPO LE 5 ASSEMBLEE, FORNITA AL DIFENSORE NOMINATO DALLA AEA E DAI LAVORATORI

10 dicembre 2007

Processo FELTRIFICIO VENETO RELAZIONE

 

Alla cortese attenzione dell’ Avv.Damiano Cisternino

 

SEZIONE 1 - PRESENTAZIONE

Questa relazione cerca di apportare dei termini contributivi alla Difesa processuale dei 62 lavoratori e lavoratrici (qui di seguito indicati come lavoratori nel complesso, e lavoratrici quando solo donne) dell’ex Feltrificio Veneto di Marghera (poi Albany International Spa), unica azienda in Italia ad aver prodotto per decenni feltri in fibra di cotone 75% ed amianto 25% e ad aver lavorato per decenni feltri di rientro da utilizzo per eternit, caso quindi di difficile documentazione ai fini processuali in quanto unico stabilimento, peraltro chiuso dal 2002. Processo che è uno dei due intentati dai lavoratori nei confronti dei padroni dell’ex Feltrificio Veneto, essendo questo costruito dalla AEA (62 lavoratori) e l’altro da CGIL-CISL-UIL (42 lavoratori).

In questa relazione si cerca di documentare e di fornire un supporto alla demistificazione delle parti (e criteri relativi) con cui il perito del Giudice Ferretti, Grillo, ha inteso fornire una perizia che esclude ben 54 lavoratori e lavoratrici sui 62 procedenti in questa singola causa, dai benefici previdenziali previsti per quanti hanno lavorato in esposizione di amianto per oltre 10 anni.

Pur riconoscendo gli anni di esposizione, il perito, con calcoli e stime fondate su cifre assurdamente e chiaramente non a caso al ribasso (verbalmente fornitegli dagliex- direttori della fabbrica stessa) in relazione ai feltri da rientro (e non considerando altri tipi di esposizione all’amianto, né con chiarezza tutti i passaggi della lavorazione dei prodotti inquinati), ha determinato dei fattori che si intendono qui demistificare e smontare nella loro valutazione tutta volta all’interesse di contenere i danni da riconoscere ai lavoratori.

 

Va detto circa il processo che la datazione al 1986 della calandratura è scorretta poiché si è lavorato in esposizione amianto in questo reparto ben oltre quell’anno, e che la assunzione di questa data è stata fatta perché il testimone che è stato ascoltato nel merito è andato in pensione in quell’anno. Inoltre i lavoratori non concordano sul giudizio positivo sulla posizione del Giudice in quanto al tempo non venne accettata la testimonianza di Zancan, ora deceduto per mesiotelioma, perché avrebbe potuto essere “parziale”: è ovvio che in una causa ci possono essere testimonianze parziali, sta al Giudice valutarle per quello che sono.

 

L’analisi della perizia fatta dai lavoratori è pratica ed oggettiva. Anche i lavoratori conoscono le “tabelle di riferimento” utilizzate dal perito, il fatto è che il perito nella sua valutazione:

1.      parte da dati di moltissimo inferiori alla realtà

2.      non considera con attenzione gli ambienti di lavoro e le carenze di mezzi di protezione e la mancanza di circolazione dell’aria

3.      disconosce le stesse procedure lavorative adottate nei vari reparti

e questo nonostante, privatamente e non, il perito Grillo abbia avuto modo di leggere le memorie dei lavoratori e di incontrare diversi di loro.

 

A sua parziale giustificazione, tale tuttavia da non permettere alla Giustizia di considerarla legittimante i risultati cui perviene, va detto che:

1.      i feltri da rientro erano lavorati solo nel Feltrificio Veneto in tutta Italia, ed attualmente non sono più trattati

2.      la fabbrica è chiusa da anni e il nuovo padrone degli immobili non ha dato grandi disponibilità di visitarla

3.      non risultavano assunti agli atti dal Giudice, né il volume lussuoso e celebrativo per il 50° anniversario del Feltrificio Veneto (da noi inutilmente chiesto a CGIL che dovrebbe certamente averne una copia in archivio a Mestre), né il filmato documentaristico girato per il servizio andato in onda alla RAI Veneto nello stesso anno (1985) per il suddetto anniversario

4.      l’orientamento del Giudice di volgere la perizia ai soli feltri da rientro è parziale e limitativo ma riflette decisioni e non del perito.

 

Per questi motivi si intende qui rappresentare le modalità con cui si è operato collettivamente con i lavoratori ed il contributo determinante di molti di loro, allo scopo di fornire alla Difesa quel supporto di metodo e dati che possano permettere la critica processuale e l’affermazione in Diritto delle ragioni di TUTTI i lavoratori all’ottenimento di calcoli adeguati alla realtà da loro vissuta nel tempo e conseguentemente ai debiti riconoscimenti previdenziali.

Si erano inizialmente previste 6 riunioni, che poi si sono ridotte a 3 cumulative di diversi reparti con tipologie produttive simili.

Queste riunioni si sono svolte con molta partecipazione il 19 novembre 2007, il 26 novembre 2007 ed il 3 dicembre 2007, con il contributo e la presidenza di Sandro Semenzato.

Nelle riunioni si è fatto uso delle lavagne per ricostruire collettivamente la pianta dei luoghi di lavoro, e per stimolare la memoria.

 

Si sono prese alcune registrazioni che saranno fornite a parte su disco alla Difesa.

 

Va detto che questa relazione riguarda la produzione e il trattamento di feltri agati, ma che la produzione del Feltricio Veneto non si limitava a questi prodotti, tuttavia ne costituisce una quota significativa, anche per il rilevante costo dei feltri prodotti.

 

Una cosa fondamentale che è emersa è il sistematico interscambio dei lavori all’interno di ogni singolo reparto e la comune condizione di “camera a gas” di ogni reparto, data dalla mancanza di ricambio continuo di aria, in ambienti saturi di energia, di calore, di rumori, di persone macchine in funzione e merci. Non ve ne è traccia nella perizia. Comporta una esposizione di tutti e non di solo alcuni addetti. I limitati spazi (limitati se rapportati alla quantità di lavoro che vi veniva svolta) di ogni reparto fanno il resto.

Questo comporta una esposizione di TUTTI e non solo di alcuni addetti a talune funzioni, per le quali comunque è giusto che ci sia una valutazione specifica.

 

 

RIUNIONE DEL 19 NOVEMBRE 2007

TESSITURA E FILATURA - ELEMENTI PARTICOLARI E GENERALI

 

Ogni giorno c’era almeno un telaio in caricamento (da 6 – 8 mt di larghezza), e il caricamento avveniva manualmente da parte di 2 lavoratrici, infilando ogni singolo filato nell’occhiello del pettine. C’era un occhiello ogni 1 – 2 millimetri.

 

“Il Perito non ha capito niente di come funzionava il Feltrificio. I filati non erano solo in magazzino, ma anche in ogni reparto c’era una zona di deposito non separata da pareti.”

 

I feltri da rientro rispecchiavano la produzione. Questa era destinata a 4 settori diversi.

Si è chiesta ai lavoratori la composizione delle destinazioni dei feltri prodotti, che poi dopo un certo periodo di utilizzo (anni) tornavano per essere ripuliti, in quanto essendo molto costosi le ditte preferivano riutilizzare quelli già da loro acquistati che erano ancora riutilizzabili.

 

5%

Depuratori (pressafanghi)

3%

Concerie (tornavano anche quelli)

30%

ETERNIT chiamati così perché venivano usati per gli ondulati in eternit

60%

CARTIERE (quelli per le cartiere per pulire i cilindri usati nella produzione della carta) – una parte di questi feltri era in amianto

 

 

Su TG3 Leonardo è andata in onda una trasmissione che parla ed attesta la DEPRESSIONE PSICHICA da amianto.  Sotto questo aspetto va detto che NON C’ERA LUCE DIRETTA DALL’ESTERNO MA LUCE AL NEON (che come noto crea depressione psichica). Non pare che sia stata fatta alcuna stima od accenno a questo aspetto.

 

 

Il Telaio rimaneva pieno di amianto filato con il cotone (colore bianco) e questo veniva portato sulle altre pezze.

La battuta è fortissima e la quantità di fibre nell’ambiente veramente notevole, tanto che imbiancava il pavimento (sul punto anche testimonianza Poggi) e da rendere necessaria una grande pulizia ogni giorno

Ogni 40-50 giorni veniva scaricato il telaio, in quel periodo si spedivano 15-20 feltri al giorno.

Il tessitore era soggetto all’esposizione più di tutti.

Finché il filato non era finito, non si ripuliva il telaio.

 

I reparti erano mantenuti nell’umidità per ragioni di produzione.

 

In gran parte vi erano telai di pochi metri, dove un lavoratore NON lavorava solo su un telaio, NE SEGUIVA 2 IN CONTEMPORANEA.

 

Nel reparto facevano ingresso le lavoratrici ancora minorenni.

 

Le parti o lavorazioni maggiormente soggette ad esposizione erano i FERODI, i FRENI DELLE SPOLIERE, la PULIZIA DI FINE TURNO (con aria compressa che la toglieva dalle macchine per spostarla a terra, portando chi faceva la pulizia a respirare ancora maggiori carichi di aria inquinata), il FRENO NAVETTA (sporcato dalla polvere bianca, veniva ripulito DIVERSE VOLTE AL GIORNO).

 

Critica chiarissima alle dichiarazioni di Quarti e Chinellato.

MA QUALI 300 KG. DI AMIANTO ALL’ANNO: AL MESE SEMMAI !

 

I lavoratori non è vero che subivano in silenzio e adesso si fanno sentire perché c’è la legge: c’erano sempre lamentele per la troppa polvere.

Nel 1973 era intervenuta medicina del lavoro a causa di un caso di asbestosi causato dalle rocche di amianto che servivano a filare il misto cotone/amianto (Pierina Tonello).

Per molti anni anche il tetto dei reparti ed altre parti dello stabilimento erano in eternit.

 

N.B. NON C’ERA RICAMBIO DI ARIA ESTERNO (COSA COMUNE A TUTTO LO STABILIMENTO, a parte il reparto Agatura che apriva un varco in via F.lli Bandiera: dalla pentola alla brace)

 

N.B. Non c’erano mascherine e non erano obbligatorie, ancora negli anni ’80-’90 quindi anche dopo il 1975.

 

I Ferodi, di dimensioni di diametro di 50 cm., venivano ripuliti 2 volte a settimana. C’erano 2 ferodi per ogni telaio.

 

 

RIUNIONE DEL 26 NOVEMBRE 2007

AGATURA E CALANDRATURA - ELEMENTI PARTICOLARI E GENERALI

 

Lavoravano circa 10 – 15 persone per ogni turno su due turni, in questa parte della fabbrica.

 

I feltri da rientro erano in origine di 5 mm di spessore. I feltri usati passavano per la calandratura, dove subivano dei lavaggi chimici, per esempio con Clorotene (che è stato tolto dalla circolazione alla metà degli anni ’90 perché nocivo). Il lavaggio con detergente avveniva dopo il 90, in precedenza veniva fatto con soda caustica (a calare dopo gli anni ‘70) e acido cloridrico. Delle pompe ad altra pressione venivano portate dai lavoratori a pochi centimetri dalla superfice dei feltri per distruggere le sostanze attaccate ai feltri stessi.  Il controllo di questi feltri serviva poi a stabilire se erano in grado di rompere i legami tra i tessuti e le sostanze inquinanti, le sostanze ostruenti erano poi frantumate dalle battute degli aghi dell’agatrice.

 

Il tempo complessivo del trattamento dei feltri da rientro era a volte di mesi, a volte anche di 2 anni. Ce ne è traccia in un registro Albany (pag.14 della seconda perizia Grillo, 2 anni e 1 mese per un feltro tra deposito e pulitura finita). Questo dato innalza enormemente la stima della esposizione respiratoria in quanto i feltri, pur spostati da un reparto all’altro dopo ogni lavorazione, permanevano per molto più tempo dell’immaginabile.

 

I feltri erano accatastati gli uni agli altri e divisi per provenienza diversa, ma i tempi diversi di lavoro necessari e le misure diverse rendevano l’accatastamento non sistematico cioè non ordinato di modo che per prendere un feltro da rientro occorreva alzarne e spostarne molti altri, in molte persone, e una volta preso, ovviamente prima di poterlo lavorare in agatrice, occorreva batterlo e ribatterlo e rigirarlo più volte.

Le cataste erano tenute vicino alle macchine, nello stesso reparto, e non certo in magazzino, quando si andava in magazzino a prendere dei feltri, era una minoranza di casi, il deposito dei feltri da lavorare era nel reparto stesso.

I dati della TABELLA A di pagina 5 di 9 della seconda perizia Grillo, sono del tutto FALSI. Il rapporto tra i feltri da rientro riportati e la realtà nota ai lavoratori, è ben oltre 1 a 10, i lavoratori stimano che fossero 60-65 all’anno i feltri da rientro da produzione eternit che tornavano in ditta ogni anno, e non 1 o 2 !!!

 

La temperatura nel reparto agatura era di 20° costante e la umidità del 80-90%.

L’ambiente era chiuso e c’era un controllo dell’umidità poiché per poter lavorare i feltri occorreva mantenerli umidi. L’umidità permetteva maggiormente la pulizia dei fori e lo smembramento delle parti attaccatesi ai feltri stessi.

L’inquinamento acustico nel reparto agatura era da 70 a 90 decibel, come nelle tipografie industriali.

 

Vi era una certa radioattività sviluppata da questi macchinari, in quanto in determinati punti della lavorazione dell’agatrice era necessario livellare lo spessore con una emissione radioattiva controllata di stronzio.

 

In agatura si lavoravano anche 2.000 feltri nuovi all’anno (7-8 al giorno secondo Cattaruzza Angelo, già caporeparto Agatura). Nella produzione di un feltro nuovo si lavoravano varie ore per produrre i vari veli (strati forati) onde produrre il tessuto di base del feltro.

 

Due curiosità.

All’inizio e per diversi anni in agatura e calandratura non passavano ½ litro di latte ma bensì del thé ed un limone, ma poi, con la giustificazione che molti limoni non venivano consumati, il direttore decise di passarne mezzo tagliato a testa, dicendo che così sarebbe stato improbabile il consumo in altro luogo non del lavoro.

Durante la guerra davano la birra apposta agli operai che lavoravano la lana, perché la follatura della lana veniva fatta anche col piscio, maggiormente provocato dalla birra.  Il  feltro dopo il lavaggio veniva colorato con Benzochinone, la maschera che si usava per proteggersi dalle esalazioni era collegata con dei tubi che portavano l’aria da via F.lli Bandiera !!!

 

 

 

RIUNIONE DEL 3 DICEMBRE 2007

RAMMENDATURA E FINITURA - ELEMENTI PARTICOLARI E GENERALI

 

Il reparto di rammendatura fu spostato due volte dopo la sede originaria. All’inizio sino al 1976 si trovava nella zona vecchia al 1° piano. Poi fu spostato vicino alla tessitura (reparto ex-agatrice fino al 1980) quindi sopra la calandratura dal 1980 in poi, dove vi era un soffitto basso con finestrini le cui ante ribalte erano solo nella parte alta del serramento.

 

La lavorazione consisteva in un controllo e sistemazione manuale dei feltri e tessuti, che venivano presi dalle cataste, provenienti dalla tessitura e dalla agatura, e disposti o su dei tavolacci (ce ne erano 6-7) o su delle stanghe che venivano utilizzate a coppie parallele sulle quali venivano messi sopra, a cavallo, i feltri (5 coppie di stanghe). Le lavoratrici del reparto furono anche 50 nel primo periodo, fino al 1976, poi una quarantina.


In estate vi era un caldo torrido, in inverno freddo.

 

Si rammendava a mani nude.

 

Quanti feltri di rientro capitavano ?  “MOLTI. Si riconoscevano da quelli nuovi per il colore scuro e l’odore (QUINDI NON E’ CHE TORNAVANO “VERGINI” DALLA AGATURA). I capi dicevano loro che l’irritazione della pelle quando si lavoravano i feltri derivava dalla lana ma a rotazione invece quando si trattava di feltri da rientro l’irritazione era maggiore. Il capo reparto disponeva a chi (2 lavoratrici alla volta)  toccava lavorare ogni singolo feltro da rientro che giungeva in reparto insieme agli altri. Si lavoravano dunque una dozzina, a volte 13-14, feltri, e di questi 1 ma anche 2 o 3 potevano essere feltri da rientro di “eternit”. Ogni rammendatura dei feltri da rientro “eternit” durava una settimana, anche 2 in certi casi.”

 

I feltri da rientro venivano controllati centimetro per centimetro e rammendati, oltre alla parte della giuntura che veniva sistemata, sia all’esterno del tubolare che all’interno, per cui il 70% del tempo di lavorazione (diciamo 3 giorni su 5, 3-4 giorni su 6) lo si lavorava stando DENTRO il tubolare del feltro stesso, e respirando quindi la stessa aria inquinata per diverse ore.

 

Le tele ( i feltri ) venivano tenute bagnate per tenerle umide e poterle lavorare meglio. L’acqua (l’umidità) rendeva più distribuite ed unite le parti precedentemente a contatto con l’amianto (per i feltri da cementifici, eternit), e più mescolate le parti contenenti amianto (fibra mista).

L’umidificazione veniva fatta anche sui feltri nuovi (cioè anche su quelli misti cotone-amianto).

 

Tra le lavoratrici della rammendatura ci sono stati almeno 2 casi di malattie respiratorie, ma in un solo caso c’è stata una valutazione medica finalizzata, e in quel caso Medicina del Lavoro di Padova stabilì che vi era “allergia”.

 

TRA I CASI RICONOSCIUTI NELLA PERIZIA GRILLO C’E’ UNA LAVORATRICE DELLA RAMMENDATURA.

 

SI LAVORAVA ANCHE IL SABATO E FINO AL 1976 MOLTE VOLTE ANCHE LA DOMENICA

 

L’AMBIENTE ERA SATURO DEI MATERIALI LAVORATI E SI RESPIRAVA A CONTATTO DI POCHI METRI TRA LE DIVERSE LAVORATRICI PER CUI NON SI PUO’ ESCLUDERE LA RESPIRAZIONE DI POLVERI DI AMIANTO PER QUELLE LAVORATRICI SEMPLICEMENTE VICINE A QUELLE CHE STAVANO LAVORANDO CONTEMPORANEAMENTE SU FELTRI DA RIENTRO. QUESTO ASPETTO E’ COMUNE A TUTTA LA PRODUZIONE DI FELTRI NUOVI CON AMIANTO E DI TUTTA LA LAVORAZIONE DI FELTRI DA RIENTRO “ETERNIT”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SEZIONE 2 - DOCUMENTAZIONE E DICHIARAZIONI DEI LAVORATORI DI CRITICA AI CRITERI ADOTTATI NELLE PERIZIE GRILLO PER ESCLUDERE 54 DEI 62 LAVORATORI DEL PROCESSO DAI BENEFICI PREVIDENZIALI

 

Feltrificio Veneto SpA  (1935-1995)

Relazione di Semenzato Sandro

Il feltro per cartiera.

Funzione del feltro è assorbire l’acqua contenuta dall’impasto cartario, mediante compressione data    dal passaggio tra due cilindri, quindi ripetendo più volte questa operazione con più feltri, si ottiene un foglio omogeneo con superficie e spessore voluto, che passerà alla successiva operazione di essiccamento.

Il feltro si presenta come un grande nastro trasportatore di una lunghezza che può variare da metri 20 a 90, larghezza da metri 2 a 8 e spessore da millimetri 2 a 5, con diverse variabili nel suo interno, date dal tipo di tessuto, dalla quantità e qualità di fibre che vengono aggiunte sulle due superfici.

La capacità del feltro viene determinata dal potere di assorbimento dell’acqua e dal ritorno allo spessore originale dopo schiacciamento che ne determina la durata.

Ogni feltro viene calcolato su misura della macchina  su cui sarà montato e in conformità al tipo di carta che andrà a produrre.

Come è fatto un feltro.

Composto da un tessuto formato da diversi intrecci tra trama e ordito che ne determinano la compattezza e lo spessore, considerando anche il diametro dei singoli filati, spessore che può variare da 1 a 3 millimetri. Tale tessuto può essere prodotto già in forma tubolare, oppure successivamente giuntato a mano, se la misura è superiore alla disponibilità del telaio.

Le misure in lunghezza e larghezza vengono calcolate considerando il conseguente accorciamento ottenuto dal contatto con il cilindro riscaldato della calandra, operazione che  fa  raggiungere al filato, uno stato di non ritorno “termofissaggio” che evita un dannoso allungamento in fase di lavoro.

Il tessuto così ottenuto, viene teso all’interno di una macchina detta agatrice, e successivamente accoppiato con uno strato di fibra cardata in modo da ottenere uno spessore omogeneo, poi su questa fibra si abbassa una tavola contenente migliaia di aghi di sezione triangolare, con gli angoli uncinati in senso contrario a quello di penetrazione.

L’azione di questi aghi è portare  parte della fibra al lato opposto del tessuto, fissando l’uno all’altro i due manufatti, che con 30 o 40 penetrazioni per cmq danno la consistenza voluta, questa operazione può essere ripetuta con più strati di fibra, modificando spessore e diametro delle fibre stesse, sia da un lato che dall’altro.

Tra i parametri di misura di un feltro importante è il peso espresso in gr x mq  in rapporto alla permeabilità all’aria che solitamente è direttamente proporzionale alla capacità di assorbimento dell’acqua.

Altro fattore da considerare è la superficie, che si può ottenere con uno strato di fibre di diametro più sottile, determinante nella fase finale della parte umida e in posizioni dove la carta deve aderire al feltro per esigenze di trasporto. 

Una macchina da carta può contenere in media  3 feltri nella parte umida e 3 feltri agati  o tele, nella parte di  “seccheria”, dove l’alta temperatura asciuga la carta definitivamente.

I feltri o tele di seccheria, vengono costruiti in conformità della posizione che andranno ad occupare nella macchina, considerando sempre il risultato lavorativo del precedente che, se negativo, si  provvede  alla giusta modifica.

Per tela di seccheria si intende un tessuto rigido di alta permeabilità che consente la rapida  asciugatura della carta, naturalmente composta da fibre resistenti al calore ed all’idrolisi, tipo poliestere, fibre continue vetro, amianto, o altre fibre di composizione sperimentale  continuamente proposte dai fornitori.

Anche in questo caso la tela viene termofissata per assicurarne la stabilità ed eventualmente trattata con resine epossidiche per proteggerla dall’usura , sovente viene aggiunto uno strato di velo, tramite agatura, quando la posizione richiede una superficie liscia.

Durante la fase di finissaggio in calandra, si procede alla fusione dei bordi su tutti i manufatti , questo per evitare lo sfilacciamento, causato dallo sfregamento delle palette guida feltro, alle tele, che sono più vulnerabili in  questo punto, viene eseguita una ulteriore spalmatura di resina epossidica,  per  un paio di centimetri, su tutta la lunghezza.

La vita lavorativa delle tele agate e non, può essere di qualche anno, mentre per i feltri di parte umida, si riduce a poche settimane.

Modalità di lavorazione.

Dal prodotto grezzo, cioè fibre pressate in pesanti balle reggettate, si otteneva un misto idoneo per la successiva operazione di filatura, reparto composto da macchinari che trasformavano la fibra preventivamente cardata, in un filato di aspetto grossolano, con pochi giri di torsione che assumeva le proprietà ottimali dopo il passaggio in filatura.

Reparto che otteneva i filati più disparati, accoppiando i vari ritorti di nostra produzione con altri acquistati da vari fornitori, lavorazione effettuata con macchinari disposti in linea, con centinaia di rocche che andavano a formarsi in simultanea a forte velocità.

L’operatore seguiva costantemente la produzione per riparare le eventuali rotture, ripristinandole manualmente con semplici nodi, o riavviando la singola rocca.

Prodotto che era inviato direttamente nel reparto tessitura dove provvedevano al caricamento dei telai, mentre per le navette, le grandi rocche venivano trasformate in affusolate spole. 

Nonostante le moderne automazioni, le procedure per tale produzione sono prettamente manuali, es. i telai di grandi dimensioni, costringevano l’operatore quasi incastrato tra il pettine e struttura portante, ad un lavoro di ore per il caricamento del telaio, che anche se aiutato meccanicamente, doveva inserire migliaia di filati in altrettante fessure di pettine e quindi a diretto contatto con il materiale di lavorazione che a seconda dei casi rilasciava un certo numero di fibre di diversa natura nell’aria.

Dopo l’avviamento, il telaio doveva essere continuamente seguito per le frequenti e normali anomalie, che venivano manualmente corrette, il cambio di spola “filato all’interno della navetta” era effettuato con frequenza regolare, dipendente dalla capacità della stessa.

In questo reparto, oltre che all’inquinamento da polveri dobbiamo considerare l’inquinamento acustico che superava ampiamente gli 80 Db.

Al successivo passaggio in rammendatura si provvedeva a ripristinare correttamente sia il punto di cambio spola che i vari difetti di tessitura corretti un parte o di difficile attuazione a telaio.

Reparto costituito prevalentemente da personale femminile data la nota manualità nel rammendo, che veniva effettuato con il tessuto teso verticalmente per favorirne l’osservazione in controluce e poter intervenire nei due lati.

Tra le varie mansioni, detto personale provvedeva a giuntare manualmente il tessuto riproducendo filato per filato il difficile disegno tra trama e ordito.

Il personale di ogni reparto provvedeva a portare il manufatto al passaggio successivo tramite carrelli spinti a mano, in questo caso, dopo il rammendo il tessuto veniva portato in calandra.

Come già detto l’importante funzione del termofissaggio  dato dal calore dei grossi cilindri riscaldati ad olio fino a 180°C era soltanto la prima fase del lavoro di questo reparto, poiché il feltro dopo agatura, tornava per essere stabilizzato e successivamente raffilato.

L’operazione di carico in macchina era effettuata manualmente, con l’ausilio di almeno 4 persone o con l’aiuto di un sollevatore elettrico per i feltri più pesanti, fino a 4/5 q.

Reparto questo, con temperatura elevata  a diretto contatto con i feltri, che riscaldati tendevano a disperdere polveri e con uso continuo di prodotti chimici di varia natura, es. clorotene in notevole quantità, sia per i lavaggi che per i trattamenti a base di resine epossidiche che catalizzavano con il calore, frequente l’uso del benzochinone come colorante. 

Si eseguivano lavaggi sui feltri nuovi per eliminarne i vari appretti o impurità, in questo modo si poteva poi ottenere una superficie speculare, indispensabile ad esempio per  la stampa.

Ma più frequenti erano i lavaggi su feltri usati, resi dai clienti che intendevano sfruttarne al massimo a produttività, a questo scopo venivano studiate le varie tipologie di lavaggio idonee a rimuovere o sciogliere il materiale di intasamento, dalle soluzioni acide per sali solubili, alle alcaline o solventi, per resine e peci, usate come collante per le fibre cartacee.

Per i feltri intasati da materiali insolubili, tipo caolino, talco, amianto, ecc. si procedeva con la rimozione forzata, mediante getti di acqua ad alta pressione.

Quindi dalla calandra, uscivano prodotti finiti da inviare al reparto spedizione, dove, dopo le dovute operazioni di controllo, venivano arrotolati su un’anima di ferro o cartone e imballati e prodotti da inviare al reparto agatrice, per le procedure sopra descritte.

Anche in questo caso il rumore e la polvere erano elevati, le tavole contenenti 30.000 o 40.000 aghi, con una larghezza fino a 10 metri, si alternavano in un movimento verticale sopra il feltro, con una velocità che le rendeva invisibili alla vista, è per ovviare al disagio acustico che le pareti e soffitti di questi reparti, erano coperte da un impasto contenente amianto o da pannelli di lana di vetro, mentre non esisteva nessun tipo di protezione per quanto riguardava le polveri.

Per quanto riguarda la manutenzione, l’azienda era dotata di un’officina adeguata, con personale competente che provvedeva continuamente al controllo o eventuali riparazioni di tutti i macchinari, nonché la conduzione delle caldaie, poste nelle vicinanze del reparto.

L’intera produzione era controllata sistematicamente dai componenti del laboratorio chimico, con prove fisiche di trazione su filati e campioni di feltro, controllo dei parametri previsti durante la produzione nei vari reparti, studio delle soluzioni di lavaggio, determinazione delle sostanze di intasamento su feltri resi e analisi sulla composizione di manufatti usati di concorrenza.

L’uso delle fibre di amianto è cessato intorno al 1990, per le note proprietà negative alla salute.

L’azienda tra gli anni 70 e 90, contava in media 340 dipendenti, con circa il 40% di personale femminile in 3 turni distribuiti dalle ore 6,00 alle ore 22,00 per 5 giorni alla settimana.

Produzione di manufatti per l’industria cartaria, centrali di depurazione, concerie, stampa in genere e nastri trasportatori per lastre ondulate eternit, cemento amianto.

Per le cartiere, feltri in fibra sintetica, per trasporto ed assorbimento acqua, nella prima parte e feltri e tele composti principalmente da fibre resistenti al calore ed all’idrolisi, per la parte finale della macchina da carta, detta seccheria.

Per le centrali di depurazione “acque nere” tessuti filtranti in monofilo poliestere.

Per concerie e stampa, feltri in fibra sintetica di alto spessore, a supporto di forti pressioni.

Per lastre eternit, tessuto filtrante composto da ritorti e fibre continue in poliamide.    

CICLO PRODUTTIVO

     Reparto mischia.    

     Preparazione dei vari misti di fibre, sia per il velo da fissare al tessuto che per la produzione di filato.

     Reparto filatura. (ritorcitura, preparazione)

     Preparazione dei filati da utilizzare in produzione mediante ritorcitura e trasformazione da rocche a spole  (da inserire in navetta a telaio) o accoppiamento tra più filati, per i prodotti acquistati, come filato di amianto, o monofilo sintetico.

     Reparto tessitura.

     Composto da circa 50 telai da 2 a 16 metri di lunghezza, collocati in 2 sale comunicanti  con controllo tessimento e cambio spola manuale.

     Reparto rammendatura.

      Passaggio obbligato per tutti i manufatti  provenienti dalla tessitura, dove dopo un controllo accurato del tessuto posto in posizione verticale che permetteva la visione in tutta la sua lunghezza mediante rulli posti a  una altezza di circa 2 metri, venivano corrette manualmente, eventuali anomalie di tessimento.

     Diversi tessuti non tubolari venivano giuntati a mano, rispettando il complicato disegno di origine.    

     Reparto agatrice.

     Fissaggio del velo sul tessuto di fondo, su ambedue i lati, tramite tavole contenenti migliaia di aghi uncinati che ad alta velocità ancoravano le fibre all’interno del tessuto

     Reparto calandre, comprendente garzatura, follatura, lavatura.

     Macchinari con cilindri riscaldati fino a 180° del diametro di 1 o 2 metri per una lunghezza max di 10, dove venivano termofissati i tessuti da inviare successivamente in agatrice, e finissaggio dei feltri già agati, tele di seccheria e di depurazione.

      Reparto lavatura.

     Ripristino mediante lavaggio chimico e meccanico, dei manufatti resi dal cliente per un successivo riutilizzo. Questo servizio, oltre alle cartiere, ne usufruivano spesso i costruttori di lastre di cemento amianto, causa l’intasamento rapido del tessuto provocato dall’impasto di lavorazione.

     Reparto spedizione.

     Arrotolamento manuale ed imballaggio di tutti i manufatti.

     Officina meccanica per la manutenzione dei macchinari e laboratorio chimico fisico, per controllo del prodotto, coinvolti in tutto il ciclo produttivo.

     I conduttori di caldaie erano in forza al reparto officina, quindi anche manutentori.

Amianto usato normalmente come coibentante su tubazioni ad alte temperature e come impasto  fonoassorbente alternato a pannelli in fibra di vetro, applicato su soffitti e pareti.

 

                                                       

Spoliere e Filatura

Memoria di 8 Lavoratrici del reparto Spoliere e Filatura

Il reparto in cui abbiamo lavorato era “Filatura e spoliere”: partendo da rocche di filato si ottenevano spole per la trata [il trattamento] dei Feltri. Questo reparto era situato tra il Magazzino Filati (in cui si trovavano le rocche di filato) e il deposito Feltri pronti (che attendevano di essere spostati negli altri reparti). Il reparto era senza finestre con soffitti bassi rivestiti di amianto. Le rocche ([ce ne erano] anche in amianto) erano contenute all’interno di diversi cassoni e scatoloni ed erano poste in prossimità delle macchine. Le macchine (spoliere) dovevano essere caricate con queste rocche: il filato che vi era contenuto veniva da noi preso e passato attraverso dei freni d’acciaio.

La macchina poi faceva passare velocemente il filato attraverso questi freni che, quindi, dovevano essere costantemente controllati durante l’intera lavorazione del filato per garantire una certa tensione.

L’attrito tra filato e freni produceva la formazione di polveri.

Questi freni avevano un’altezza prossima alla bocca/naso. Come risultato di questa lavorazione si ottenevano le spole che venivano da noi prese in mano, annodate e riposte in cassette vicino alle macchine.

Questa lavorazione veniva fatta per otto ore al giorno per tutti i giorni fino al 1985/1990.

Più volte al giorno (e alla fine di ogni turno), per disperdere l’accumulo delle polveri che si depositavano, usavamo aria compressa per la pulizia delle macchine; senza nessuna protezione (ad es. uso di mascherine).

Durante queste lavorazioni ci veniva dato da bere mezzo litro di latte al giorno.

Il venerdì, oltre alla lavorazione dei filati, si procedeva alla pulizia del magazzino: le rocche dovevano essere sistemate bene all’interno dei cassoni.

Successivamente dovevamo effettuare la pulizia del locale con delle scope per togliere le polveri accantonate.

Tutto ciò per i due turni lavorativi.

 

Marghera, 26/11/2007

 

In fede Fusaro Marisa, Semenzato Annalisa, Zane Rita, Dal Corso Laura, Cavallin Teresa, Ragazzo Claudia, Meneghel Marisa, Ragazzo Flavia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tessitura

Testimonianza di Marcato Mario, nato 1955

Marghera, 19-11-2007

Dati dichiarati dall’azienda il 3-7-2002: “Lavora in azienda nel reparto Tessitura dal 10-07-2002”

Dati dichiarati dal ricorrente

Effettua la lavorazione di fibre d’amianto ai telai 22 e 25 situati vicino alla porta della sala più piccola comunicante con quella grande.

Produceva feltri, destinati all’esportazione in paesi esteri, in media 2 volte alla settimana (non 2 volte l’anno).

Tra il 1973 e il 1985 ha effettuato questa lavorazione per 4 ore nel turno di 8 ore dividendo la giornata con altro dipendente a causa dell’alta concentrazione di polvere d’amianto.

L’unico mezzo di protezione era l’obbligo di bere mezzo litro di latte.

La ditta ha sempre cercato di nascondere cosa si lavorava effettivamente, non è mai stata in regola con le norme di sicurezza. Nonostante le mansioni svolte fossero le stesse per tutti i lavoratori solo ad alcuni di loro è stato riconosciuto l’amianto.

Solitamente venivano messi a lavorare nei telai con fibre di amianto i lavoratori più giovani perché il tipo di lavorazione era semplice e perché non potevano protestare per la polvere nociva.

Le indagini per verificare la presenza di polveri nocive iniziate il 26/11/1984 sono state effettuate in un periodo di crisi lavorativa.

 

 

Dichiarazione di Cervasato Gianfranco, nato 1955

Trivignano, 19-11-2007

Io sottoscritto, dipendente del FELTRIFICIO VENETO SPA in Marghera VE via delle Macchine 2 nel reparto Tessitura nel periodo:

-         dal 14 novembre 1972 al 30 novembre 2001

e successivamente dipendente della ALBANY INTERNATIONAL ITALIA SPA

-         dal 1 dicembre 2001, come attualmente alla data odierna,

con la presente

DICHIARO

Di aver esercitato mansioni di operaio tessitore, lavorando a telaio e maneggiando, per circa venti anni, moltissimi filati contenenti fibra di amianto che sollevavano una polvere bianca molto fastidiosa che ricopriva le spole e tutta la zona di lavoro, obbligando noi operai a difenderci da questo disagio, che impediva la corretta respirazione, utilizzando stracci bagnati per fare in modo da impedire, o almeno limitare, l’inalazione di queste sostanze che ci procuravano molti fastidi respiratori ed infatti, per questi motivi, la ditta ci forniva del latte da bere per sopperire a questo gravoso disagio.

Alla fine del turno lavorativo svolgevamo le regolari pulizie nella zona riguardante l’area di lavoro con utilizzo di aria compressa, creandoci ulteriori problemi per l’inevitabile inalazione di dette polveri di amianto che si disperdevano nell’ambiente di lavoro.

Oltre a respirare e convivere giornalmente a stretto contatto con queste sostanze, noi operai, ci siamo dovuti trovare stretti dall’amianto anche dalle strutture della fabbrica in quanto sia il tetto che altre parti dell’opificio, che in certe zone fungevano da divisori per isolare calore e rumore, contenevano amianto.

Nel momento in cui è stato dichiaratamente accertato che l’amianto esistente nella fabbrica era notevolmente molto pericoloso per la salute dei dipendenti, la ditta ha provveduto ad eliminarlo coinvolgendo anche, in certe mansioni, noi operai meccanici e tessitori per l’eliminazione di parte di esso e questo con l’accurata pulizia delle macchine con ulteriore spazzolatura dei subbi e dei ferodi totalmente ricoperti dalla polvere d’amianto.

 

Dichiarazione di Zancan Fabio

Marghera, 19-11-2007

Il sottoscritto Zanca Fabio dichiara di aver ricoperto il ruolo di Tessitore e,in seguito, di Addetto alla Manutenzione presso il reparto Preparazione. In entrambi i reparti prendeva atto la lavorazione di amianto.

Dichiara inoltre di essere stato Addetto alla Movimentazione nel Magazzino Filati con il compito di verificare numero e peso dei contenitori per lo stoccaggio del filato, venendo quindi in contatto diretto con amianto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Laboratorio di Analisi Chimico-Fisiche dei Materiali

Dichiarazione di Bertoni Nerio relativa alla propria esposizione all’amianto

Marghera, 03-12-2007

Io sottoscritto Bertoni Nerio ero esposto alle fibre di amianto per 8 ore al giorno del mio turno di lavoro, per un periodo ultra decennale (dal marzo 1972 a tutto il 1982), in quanto addetto presso il laboratorio di  analisi chimico-fisiche dei materiali.

Nella perizia del CTU mi viene attribuita una esposizione per 8 ore al giorno a 0,6 ff/cc [fibre per centimetro cubo], ma inspiegabilmente solo per il biennio 1972-1973.

Va osservato che:

1)      Non essendo successivamente cambiata la mia mansione, non si spiega l’attribuzione di una minore quantità di fibre/litro nel periodo 1974-1983.

2)      Comunque, con tale esposizione, in base al sistema di calcolo Verdel e Ripanucci applicato al biennio 1972/1973, la mia esposizione media annua giornaliera per i circa 11 anni di lavoro sarebbe superiore alle 100 fibre/litro, con conseguente diritto al riconoscimento dei benefici previdenziali.

Pertanto, visti i punti 1 e 2, ritengo ci sia stata una svista o un banale errore di calcolo nel mio caso, poiché se mi vengono applicati gli stessi metodi di calcolo di ricorrenti con esito positivo, anche nella mia posizione il risultato sarebbe altrettanto positivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Agatrice

Memoria di Stevanato Ornelio – reparto agatrici – Feltrificio Veneto e Albany Marghera

Consegnata in data 3-12-2007 presso la sede AEA di Marghera Piazza Mercato 14.

Durante l’incontro tra i lavoratori della rammendatura con Semenzato e Dorigo

 

Feltro da rientro del 05-09-1973 della ditta Germagnano, riparato il 21-03-1975 che conteneva amianto e che è stato rispedito in data 17-10-1975.

(IL DOCUMENTO RISULTA ALLEGATO AGLI ATTI all.n.10 –pag.14 della perizia depositata 16 gennaio 2006)

Quindi permanenza in fabbrica per 2 anni e 1 mese. Venivano lavati, calandrati, agati ecc., … come descritto dallo stesso documento.

Conseguenza ne è che i feltri di rientro (denominati eternit) prima di essere riconsegnati rimanevano in azienda per più di due anni (certificato dal documento di cui sopra).

Anche calcolando solo il rientro di 4 feltri all’anno (ipotesi molto al di sotto della realtà) dal 1976 al 1985 e di due feltri dal 1986 al 1990 più il feltro nuovo dal 1976 al 1990 (pagg.5-10), si può definire in maniera sicura che in azienda avevamo sempre feltri con amianto in tutti i giorni dell’anno in attesa di essere lavorati. Questi feltri nei tavolacci venivano più volte al giorno presi per mano e rimescolati in quanto messi uno sopra l’altro e quando si doveva prenderne uno, magari era sotto e si doveva rimaneggiare tutta la pila.

Feltro da rientro quindi intasati di pasta cemento-amianto. Pasta non del tutto rigida in quanto screpolata e con fibre di amianto nude e libere (da rivedere i tempi di esposizione in base a questo e quindi non considerare solamente i tempi di agatura vera e propria in macchina).

 

Il feltro da rientro delle aziende produttrici di eternit arrivava presso il Feltrificio Veneto in quanto intasato e non più in grado di svolgere la funzione originaria, ripulito e rigenerato.

Naturalmente il feltro intasato lo era della materia con cui aveva lavorato cioè cemento amianto.

La nostra lavorazione su tali prodotti era così fatta: lavato in reparto calandra e poi passava in agatrice.

Prendendolo per lano dal tavolaccio in cinque-sei persone, in quanto duro e pesante, lo si apriva, molte volte lo si girava e si montava in agatrice.

Quindi dopo averlo fatto girare alcuni giri per pulirlo e farlo girare diritto lo si agava.

L’agatura è una lavorazione particolare che adoperando aghi (con tacche uncinate) penetravano le fibre del feltro e portavano le fibre stesse in profondità legandole tra esse e creando un prodotto più compatto e uniforme.

[NOTA SULLE DIMENSIONI VARIAVANO DAI 3 AGLI 8 MT DI LARGHEZZA, E DAI 15 AI 90 METRI DI LUNGHEZZA, testimonianza orale, 3-12-2007, ndR]

Cioè si facevano entrare nel feltro gli aghi (con tacche uncinate) che lo penetravano tutto e fuoriuscivano per circa 8,10, 11, 12, … 15 millimetri, con una densità di 18, 22, 25, 32, 36, 45, 50 penetrazioni per ogni centimetro quadrato del feltro per ogni giro di agatura (si facevano diversi giri) e alla velocità che andava dalle 200 alle 600 battute al minuto tenendo presente che ad ogni battuta entravano nel feltro migliaia di aghi contemporaneamente.

 

 

 

 


                        25 colpi x cm2                    36 colpi x cm2                   50 colpi x cm2

 

Il rumore e la polvere di cemento amianto e fibre rotte dello stesso feltro erano talmente tante che è difficilmente spiegabile. Lo potrà spiegare solo il risultato finale che rendeva il feltro pulito e rigenerato, cioè tutto il cemento, amianto ed altre impurità venivano frantumate e polverizzate. Naturalmente queste impurità rimanevano sopra la macchina, dentro il bauco (deposito aperto da migliaia di fori corrispondenti alle migliaia di aghi) e in ogni angolo più o meno nascosto del reparto tutto.

Molta di questa polvere veniva pure a depositarsi (naturalmente e anche agevolata dall’impianto di ventilazione che lo manteneva costantemente in movimento) sopra le capriate.

 

Oltre alla pulizia particolare che veniva effettuata dopo tali lavorazioni (sommaria con aria compressa), di norma ogni settimana veniva dedicato un intero turno di lavoro di otto ore alla pulizia reparto.

Anche questa operazione si eseguiva prevalentemente con aria compressa e di conseguenza, reimmissione in circolo di fibre (di amianto) depositatesi.

In conseguenza di ciò non ritengo si possa paragonare la nostra esposizione di fibre/litro a nessun altro reparto od operazioni di lavoro magari con prodotto fermo-statico, mentre in agatrice il feltro veniva perforato e battuto in tutta la sua superficie con miliardi e miliardi di perforazioni.

[RITENGO] sia da rivedere infatti la nostra esposizione sia in quantità di fibre/litro che in tempi di esposizione (costantemente) e non solamente per i tempi calcolati di agatura feltro.

 

Che i feltri di rientro avessero amianto è certificato anche dal documento del funzionario di vigilanza Francesca D’Anna (INAIL):

Dalle informazioni richieste in relazione al prodotto denominato eternit citato nella lettera del 28-05-2001, inviata dalla Confederazione Italiana Sindacati Autonomi dei Lavoratori, si è venuti a conoscenza che trattavasi di un tessuto in fibra sintetica non contenente amianto, impropriamente chiamato eternit dagli operai in quanto, avendo una trama e un ordito piuttosto grossi e larghi con un nodo la cui pressione serviva a dare la compattezza alle lastre, veniva utilizzato dai clienti per la produzione di lastre di cemento amianto.” (pag.23)

In Italia il primo caso di carcinoma bronchiale in un lavoratore dell’amianto fu pubblicato da Rombolà nel 1955: si trattava di una donna di 49 anni, che per 29 anni aveva lavorato come filatrice di amianto, e che era affetta da una forma lieve di asbestosi, già indennizzata dall’INAIL.” (pag.28)

Mesotelioma peritoneale in operai e operaie di aziende tessili dell’amianto in Inghilterra. (Keal 1960).” (pag.29)

(Primo caso in Italia = donna  [OPERAIA] tessile mentre non si è a conoscenza di fabbriche tessili [IN] cui siano stati concessi i benefici di legge)

 

Gestione dei feltri da rientro

Memoria di Angelo Cattaruzza – caporeparto agatrici – Feltrificio Veneto e Albany Marghera

Sottoscritta in data 26-11-2007 presso la sede AEA di Marghera Piazza Mercato 14, anche da altri 4 lavoratori

Durante l’incontro tra i lavoratori dell’agatura con Semenzato e Dorigo

 

I feltri “Usati” di rientro in Feltrificio da parte dei clienti, provenienti sia dalle cartiere che dai cementifici erano visionati nel reparto Spedizioni dai responsabili del Laboratorio di Analisi. [Il rientro era dovuto all’alto costo dei feltri, ndR]

L’analista compilava una Scheda di Rientro nella quale era specificata la Ragione Sociale del cliente il numero di matricola del manufatto (se leggibile, o noto), l’esame visivo, lo spessore misurato in mm e la permeabilità all’aria espressa in mm di colonna d’acqua.

L’Usato passava nel reparto Calandre dove era stoccato nell’attesa di essere lavato e asciugato attraverso un’operazione di calandratura.

Nell’eventualità che i lavaggi chimici non erano in grado di rompere i legami tra tessuto e sostanze intasanti, erano frantumate per mezzo degli aghi dell’impianto di agatura.

Il responsabile di reparto implementava la Scheda di Rientro con i nuovi dati dello spessore e della permeabilità all’aria che consegnava all’Ufficio Tecnico (UTE).

L’UTE nella persona del Direttore di Produzione giudicava i nuovi dati di spessore e permeabilità all’aria congrui l’Usato passava in Spedizione dove veniva chiusa la Scheda di Rientro che ritornava all’UTE e l’Usato rispedito al cliente.

Nel caso in cui i dati di spessore e permeabilità all’aria, non fossero stati giudicati validi da parte dell’UTE, l’Usato in esame seguito dalla Scheda di Rientro passava in carico al reparto Agatrici.

La Scheda di Rientro era consegnata al Capo Reparto e l’Usato stoccato in reparto nell’attesa di una lavorazione. I tempi d’attesa si potevano quantificare da una settimana, ad un mese ed oltre, secondo le richieste del cliente. Gli Usati erano accatastati separatamente se provenienti da cartiera o da cementifici per evitare Inquinamenti da contatto. Questi erano maneggiati più volte perché gli usati più vecchi si trovavano sempre nella parte Inferiore della catasta. Con l’operazione di Agatura per mezzo dell’azione meccaninca con migliaia di aghi erano frantumate le sostanze intasanti che non erano state eliminate con il lavaggio chimico. Tali polveri che ne scaturivano costringevano a lunghi tempi morti della macchina per la pulizia e la sostituzione di centinaia di aghi rotti. Queste operazioni furono interrotte nel 1993 a causa dei lunghi tempi morti e degli elevati costi di gestione che impedivano la fabbricazione del prodotto nuovo.

SCHEMA DEL REPARTO AGATRICI  (fatto alla lavagna dal caporeparto Angelo Cattaruzza)