IL 30 GENNAIO 2008 SI E’ CONCLUSO IL PROCESSO IN PRIMO GRADO SEDE
CIVILE DEL TRIBUNALE DI VENEZIA GIUDICE FERRETTI, PER LA RICHIESTA DEI BENEFICI
DI CUI ALLA LEGGE SULL’AMIANTO, RELATIVAMENTE A 62 LAVORATORI DELL’EX FELTRIFICIO
VENETO DI MARGHERA, PROCESSO AVVIATO DALLA ASSOCIAZIONE ESPOSTI AMIANTO. ALTRO
PROCESSO CON UN PO’ MENO LAVORATORI E’ STATO AVVIATO DA CGIL-CISL-UIL ED E’
ANCORA IN CORSO.
LA SENTENZA, CHE SARA’ RESA NOTA A BREVE, HA RICONOSCIUTO
INCREDIBILMENTE A SOLI 8 LAVORATORI E LAVORATRICI DEI VARI REPARTI, LA
ESPOSIZIONE MINIMA PER ACCEDERE AI BENEFICI PENSIONISTICI DELLA LEGGE.
AL PROCESSO ERANO PRESENTI UNA DECINA DI LAVORATORI. IN ASSEMBLEA SI
ERA DECISO DI NON DARE ALIBI AD ULTERIORI RINVII, E DI RIMANDARE LA PROTESTA AL
DOPO MOTIVAZIONI.
IN PRECEDENZA SI SONO SVOLTE 5 ASSEMBLEE TRA OTTOBRE E DICEMBRE SCORSI, CON IL
SOSTEGNO DI SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE, CHE SONO SERVITE A FORNIRE
CHIAREZZA ED A DEMISTIFICARE LA INCREDIBILE PERIZIA GRILLO CHE PER LA SECONDA
VOLTA IL GIUDICE FERRETTI AVEVA CHIESTO A QUESTO PERITO, PERIZIA CHE HA
STABILITO APPUNTO L’ESPOSIZIONE MINIMA SOLO PER 8 LAVORATORI. NON ERA POSSIBILE
A QUEL PUNTO DEL PROCESSO ULTERIORE DIBATTIMENTO, PER QUANTO LE COSE QUI
RIPORTATE SIANO GIA’ STATE RELAZIONATE DAI LAVORATORI, LORO, IN QUANTO PARTE
RICORRENTE, NON POTEVANO ASSURDAMENTE ESSERE SENTITI COME TESTIMONI.
SI ANDRA’ ORA ALL’APPELLO.
QUI LA NOSTRA RELAZIONE DOPO LE 5 ASSEMBLEE, FORNITA AL DIFENSORE
NOMINATO DALLA AEA E DAI LAVORATORI
10 dicembre 2007
Processo FELTRIFICIO VENETO RELAZIONE
Alla cortese attenzione dell’
Avv.Damiano Cisternino
SEZIONE
1 - PRESENTAZIONE
Questa
relazione cerca di apportare dei termini contributivi alla Difesa processuale
dei 62 lavoratori e lavoratrici (qui di seguito indicati come lavoratori nel
complesso, e lavoratrici quando solo donne) dell’ex Feltrificio Veneto di
Marghera (poi Albany International Spa), unica azienda in Italia ad aver
prodotto per decenni feltri in fibra di cotone 75% ed amianto 25% e ad aver
lavorato per decenni feltri di rientro da utilizzo per eternit, caso quindi di
difficile documentazione ai fini processuali in quanto unico stabilimento,
peraltro chiuso dal 2002. Processo che è uno dei due intentati dai lavoratori
nei confronti dei padroni dell’ex Feltrificio Veneto, essendo questo costruito
dalla AEA (62 lavoratori) e l’altro da CGIL-CISL-UIL (42 lavoratori).
In
questa relazione si cerca di documentare e di fornire un supporto alla
demistificazione delle parti (e criteri relativi) con cui il perito del Giudice
Ferretti, Grillo, ha inteso fornire una perizia che esclude ben 54 lavoratori e
lavoratrici sui 62 procedenti in questa singola causa, dai benefici
previdenziali previsti per quanti hanno lavorato in esposizione di amianto per
oltre 10 anni.
Pur
riconoscendo gli anni di esposizione, il perito, con calcoli e stime fondate su
cifre assurdamente e chiaramente non a caso al ribasso (verbalmente fornitegli
dagliex- direttori della fabbrica stessa) in relazione ai feltri da rientro (e
non considerando altri tipi di esposizione all’amianto, né con chiarezza tutti
i passaggi della lavorazione dei prodotti inquinati), ha determinato dei
fattori che si intendono qui demistificare e smontare nella loro valutazione
tutta volta all’interesse di contenere i danni da riconoscere ai lavoratori.
Va
detto circa il processo che la datazione al 1986 della calandratura è scorretta
poiché si è lavorato in esposizione amianto in questo reparto ben oltre
quell’anno, e che la assunzione di questa data è stata fatta perché il
testimone che è stato ascoltato nel merito è andato in pensione in quell’anno.
Inoltre i lavoratori non concordano sul giudizio positivo sulla posizione del
Giudice in quanto al tempo non venne accettata la testimonianza di Zancan, ora
deceduto per mesiotelioma, perché avrebbe potuto essere “parziale”: è ovvio che
in una causa ci possono essere testimonianze parziali, sta al Giudice valutarle
per quello che sono.
L’analisi
della perizia fatta dai lavoratori è pratica ed oggettiva. Anche i lavoratori
conoscono le “tabelle di riferimento” utilizzate dal perito, il fatto è che il
perito nella sua valutazione:
1.
parte da dati di
moltissimo inferiori alla realtà
2.
non considera con
attenzione gli ambienti di lavoro e le carenze di mezzi di protezione e la
mancanza di circolazione dell’aria
3.
disconosce le stesse
procedure lavorative adottate nei vari reparti
e
questo nonostante, privatamente e non, il perito Grillo abbia avuto modo di
leggere le memorie dei lavoratori e di incontrare diversi di loro.
A
sua parziale giustificazione, tale tuttavia da non permettere alla Giustizia di
considerarla legittimante i risultati cui perviene, va detto che:
1.
i feltri da rientro
erano lavorati solo nel Feltrificio Veneto in tutta Italia, ed attualmente non
sono più trattati
2.
la fabbrica è chiusa da
anni e il nuovo padrone degli immobili non ha dato grandi disponibilità di
visitarla
3.
non risultavano assunti
agli atti dal Giudice, né il volume lussuoso e celebrativo per il 50°
anniversario del Feltrificio Veneto (da noi inutilmente chiesto a CGIL che
dovrebbe certamente averne una copia in archivio a Mestre), né il filmato
documentaristico girato per il servizio andato in onda alla RAI Veneto nello
stesso anno (1985) per il suddetto anniversario
4.
l’orientamento del
Giudice di volgere la perizia ai soli feltri da rientro è parziale e limitativo
ma riflette decisioni e non del perito.
Per
questi motivi si intende qui rappresentare le modalità con cui si è operato
collettivamente con i lavoratori ed il contributo determinante di molti di
loro, allo scopo di fornire alla Difesa quel supporto di metodo e dati che
possano permettere la critica processuale e l’affermazione in Diritto delle
ragioni di TUTTI i lavoratori all’ottenimento di calcoli adeguati alla realtà
da loro vissuta nel tempo e conseguentemente ai debiti riconoscimenti
previdenziali.
Si
erano inizialmente previste 6 riunioni, che poi si sono ridotte a 3 cumulative
di diversi reparti con tipologie produttive simili.
Queste
riunioni si sono svolte con molta partecipazione il 19 novembre 2007, il 26
novembre 2007 ed il 3 dicembre 2007, con il contributo e la presidenza di
Sandro Semenzato.
Nelle
riunioni si è fatto uso delle lavagne per ricostruire collettivamente la pianta
dei luoghi di lavoro, e per stimolare la memoria.
Si
sono prese alcune registrazioni che saranno fornite a parte su disco alla
Difesa.
Va
detto che questa relazione riguarda la produzione e il trattamento di feltri
agati, ma che la produzione del Feltricio Veneto non si limitava a questi prodotti,
tuttavia ne costituisce una quota significativa, anche per il rilevante costo
dei feltri prodotti.
Una
cosa fondamentale che è emersa è il sistematico interscambio dei lavori
all’interno di ogni singolo reparto e la comune condizione di “camera a gas” di
ogni reparto, data dalla mancanza di ricambio continuo di aria, in ambienti
saturi di energia, di calore, di rumori, di persone macchine in funzione e
merci. Non ve ne è traccia nella perizia. Comporta una esposizione di tutti e
non di solo alcuni addetti. I limitati spazi (limitati se rapportati alla
quantità di lavoro che vi veniva svolta) di ogni reparto fanno il resto.
Questo
comporta una esposizione di TUTTI e non solo di alcuni addetti a talune
funzioni, per le quali comunque è giusto che ci sia una valutazione specifica.
RIUNIONE
DEL 19 NOVEMBRE 2007
TESSITURA E FILATURA - ELEMENTI PARTICOLARI E GENERALI
Ogni
giorno c’era almeno un telaio in caricamento (da 6 – 8 mt di larghezza), e il
caricamento avveniva manualmente da parte di 2 lavoratrici, infilando ogni
singolo filato nell’occhiello del pettine. C’era un occhiello ogni 1 – 2
millimetri.
“Il
Perito non ha capito niente di come funzionava il Feltrificio. I filati non
erano solo in magazzino, ma anche in ogni reparto c’era una zona di deposito non
separata da pareti.”
I
feltri da rientro rispecchiavano la produzione. Questa era destinata a 4
settori diversi.
Si
è chiesta ai lavoratori la composizione delle destinazioni dei feltri prodotti,
che poi dopo un certo periodo di utilizzo (anni) tornavano per essere ripuliti,
in quanto essendo molto costosi le ditte preferivano riutilizzare quelli già da
loro acquistati che erano ancora riutilizzabili.
5% |
Depuratori
(pressafanghi) |
3% |
Concerie
(tornavano anche quelli) |
30% |
ETERNIT
chiamati così perché venivano usati per gli ondulati in eternit |
60% |
CARTIERE
(quelli per le cartiere per pulire i cilindri usati nella produzione della
carta) – una parte di questi feltri era in amianto |
Su
TG3 Leonardo è andata in onda una trasmissione che parla ed attesta la
DEPRESSIONE PSICHICA da amianto. Sotto
questo aspetto va detto che NON C’ERA LUCE DIRETTA DALL’ESTERNO MA LUCE AL NEON
(che come noto crea depressione psichica). Non pare che sia stata fatta alcuna
stima od accenno a questo aspetto.
Il
Telaio rimaneva pieno di amianto filato con il cotone (colore bianco) e questo
veniva portato sulle altre pezze.
La
battuta è fortissima e la quantità di fibre nell’ambiente veramente notevole,
tanto che imbiancava il pavimento (sul punto anche testimonianza Poggi) e da
rendere necessaria una grande pulizia ogni giorno
Ogni
40-50 giorni veniva scaricato il telaio, in quel periodo si spedivano 15-20
feltri al giorno.
Il
tessitore era soggetto all’esposizione più di tutti.
Finché
il filato non era finito, non si ripuliva il telaio.
I
reparti erano mantenuti nell’umidità per ragioni di produzione.
In
gran parte vi erano telai di pochi metri, dove un lavoratore NON lavorava solo
su un telaio, NE SEGUIVA 2 IN CONTEMPORANEA.
Nel
reparto facevano ingresso le lavoratrici ancora minorenni.
Le
parti o lavorazioni maggiormente soggette ad esposizione erano i FERODI, i
FRENI DELLE SPOLIERE, la PULIZIA DI FINE TURNO (con aria compressa che la
toglieva dalle macchine per spostarla a terra, portando chi faceva la pulizia a
respirare ancora maggiori carichi di aria inquinata), il FRENO NAVETTA
(sporcato dalla polvere bianca, veniva ripulito DIVERSE VOLTE AL GIORNO).
Critica
chiarissima alle dichiarazioni di Quarti e Chinellato.
MA
QUALI 300 KG. DI AMIANTO ALL’ANNO: AL MESE SEMMAI !
I
lavoratori non è vero che subivano in silenzio e adesso si fanno sentire perché
c’è la legge: c’erano sempre lamentele per la troppa polvere.
Nel
1973 era intervenuta medicina del lavoro a causa di un caso di asbestosi
causato dalle rocche di amianto che servivano a filare il misto cotone/amianto
(Pierina Tonello).
Per
molti anni anche il tetto dei reparti ed altre parti dello stabilimento erano
in eternit.
N.B.
NON C’ERA RICAMBIO DI ARIA ESTERNO (COSA COMUNE A TUTTO LO STABILIMENTO, a
parte il reparto Agatura che apriva un varco in via F.lli Bandiera: dalla
pentola alla brace)
N.B.
Non c’erano mascherine e non erano obbligatorie, ancora negli anni ’80-’90
quindi anche dopo il 1975.
I
Ferodi, di dimensioni di diametro di 50 cm., venivano ripuliti 2 volte a
settimana. C’erano 2 ferodi per ogni telaio.
RIUNIONE
DEL 26 NOVEMBRE 2007
AGATURA E CALANDRATURA - ELEMENTI
PARTICOLARI E GENERALI
Lavoravano
circa 10 – 15 persone per ogni turno su due turni, in questa parte della
fabbrica.
I
feltri da rientro erano in origine di 5 mm di spessore. I feltri usati
passavano per la calandratura, dove subivano dei lavaggi chimici, per esempio
con Clorotene (che è stato tolto dalla circolazione alla metà degli anni ’90
perché nocivo). Il lavaggio con detergente avveniva dopo il 90, in precedenza
veniva fatto con soda caustica (a calare dopo gli anni ‘70) e acido cloridrico.
Delle pompe ad altra pressione venivano portate dai lavoratori a pochi
centimetri dalla superfice dei feltri per distruggere le sostanze attaccate ai
feltri stessi. Il controllo di questi
feltri serviva poi a stabilire se erano in grado di rompere i legami tra i
tessuti e le sostanze inquinanti, le sostanze ostruenti erano poi frantumate
dalle battute degli aghi dell’agatrice.
Il
tempo complessivo del trattamento dei feltri da rientro era a volte di mesi, a
volte anche di 2 anni. Ce ne è traccia in un registro Albany (pag.14 della
seconda perizia Grillo, 2 anni e 1 mese per un feltro tra deposito e pulitura
finita). Questo dato innalza enormemente la stima della esposizione
respiratoria in quanto i feltri, pur spostati da un reparto all’altro dopo ogni
lavorazione, permanevano per molto più tempo dell’immaginabile.
I
feltri erano accatastati gli uni agli altri e divisi per provenienza diversa,
ma i tempi diversi di lavoro necessari e le misure diverse rendevano
l’accatastamento non sistematico cioè non ordinato di modo che per prendere un
feltro da rientro occorreva alzarne e spostarne molti altri, in molte persone,
e una volta preso, ovviamente prima di poterlo lavorare in agatrice, occorreva
batterlo e ribatterlo e rigirarlo più volte.
Le
cataste erano tenute vicino alle macchine, nello stesso reparto, e non certo in
magazzino, quando si andava in magazzino a prendere dei feltri, era una minoranza
di casi, il deposito dei feltri da lavorare era nel reparto stesso.
I dati della TABELLA A di pagina 5 di 9 della seconda perizia Grillo, sono del tutto FALSI. Il rapporto tra i feltri da rientro riportati e la realtà nota ai lavoratori, è ben oltre 1 a 10, i lavoratori stimano che fossero 60-65 all’anno i feltri da rientro da produzione eternit che tornavano in ditta ogni anno, e non 1 o 2 !!!
La
temperatura nel reparto agatura era di 20° costante e la umidità del 80-90%.
L’ambiente
era chiuso e c’era un controllo dell’umidità poiché per poter lavorare i feltri
occorreva mantenerli umidi. L’umidità permetteva maggiormente la pulizia dei
fori e lo smembramento delle parti attaccatesi ai feltri stessi.
L’inquinamento
acustico nel reparto agatura era da 70 a 90 decibel, come nelle tipografie
industriali.
Vi
era una certa radioattività sviluppata da questi macchinari, in quanto in
determinati punti della lavorazione dell’agatrice era necessario livellare
lo spessore con una emissione radioattiva controllata di stronzio.
In
agatura si lavoravano anche 2.000 feltri nuovi all’anno (7-8 al giorno secondo
Cattaruzza Angelo, già caporeparto Agatura). Nella produzione di un feltro
nuovo si lavoravano varie ore per produrre i vari veli (strati forati) onde
produrre il tessuto di base del feltro.
Due
curiosità.
All’inizio
e per diversi anni in agatura e calandratura non passavano ½ litro di latte ma
bensì del thé ed un limone, ma poi, con la giustificazione che molti limoni non
venivano consumati, il direttore decise di passarne mezzo tagliato a testa,
dicendo che così sarebbe stato improbabile il consumo in altro luogo non del
lavoro.
Durante
la guerra davano la birra apposta agli operai che lavoravano la lana, perché la
follatura della lana veniva fatta anche col piscio, maggiormente provocato
dalla birra. Il feltro dopo il lavaggio veniva colorato con
Benzochinone, la maschera che si usava per proteggersi dalle esalazioni era collegata
con dei tubi che portavano l’aria da via F.lli Bandiera !!!
RIUNIONE
DEL 3 DICEMBRE 2007
RAMMENDATURA E FINITURA - ELEMENTI
PARTICOLARI E GENERALI
Il
reparto di rammendatura fu spostato due volte dopo la sede originaria.
All’inizio sino al 1976 si trovava nella zona vecchia al 1° piano. Poi fu
spostato vicino alla tessitura (reparto ex-agatrice fino al 1980) quindi sopra
la calandratura dal 1980 in poi, dove vi era un soffitto basso con finestrini
le cui ante ribalte erano solo nella parte alta del serramento.
La
lavorazione consisteva in un controllo e sistemazione manuale dei feltri e
tessuti, che venivano presi dalle cataste, provenienti dalla tessitura e dalla
agatura, e disposti o su dei tavolacci (ce ne erano 6-7) o su delle stanghe che
venivano utilizzate a coppie parallele sulle quali venivano messi sopra, a
cavallo, i feltri (5 coppie di stanghe). Le lavoratrici del reparto furono
anche 50 nel primo periodo, fino al 1976, poi una quarantina.
In estate vi era un caldo torrido, in inverno freddo.
Si
rammendava a mani nude.
Quanti
feltri di rientro capitavano ? “MOLTI.
Si riconoscevano da quelli nuovi per il colore scuro e l’odore (QUINDI NON E’
CHE TORNAVANO “VERGINI” DALLA AGATURA). I capi dicevano loro che l’irritazione
della pelle quando si lavoravano i feltri derivava dalla lana ma a rotazione
invece quando si trattava di feltri da rientro l’irritazione era maggiore. Il
capo reparto disponeva a chi (2 lavoratrici alla volta) toccava lavorare ogni singolo feltro da
rientro che giungeva in reparto insieme agli altri. Si lavoravano dunque una
dozzina, a volte 13-14, feltri, e di questi 1 ma anche 2 o 3 potevano essere
feltri da rientro di “eternit”. Ogni rammendatura dei feltri da rientro
“eternit” durava una settimana, anche 2 in certi casi.”
I
feltri da rientro venivano controllati centimetro per centimetro e rammendati,
oltre alla parte della giuntura che veniva sistemata, sia all’esterno del
tubolare che all’interno, per cui il 70% del tempo di lavorazione
(diciamo 3 giorni su 5, 3-4 giorni su 6) lo si lavorava stando DENTRO il
tubolare del feltro stesso, e respirando quindi la stessa aria inquinata per
diverse ore.
Le
tele ( i feltri ) venivano tenute bagnate per tenerle umide e poterle lavorare
meglio. L’acqua (l’umidità) rendeva più distribuite ed unite le parti
precedentemente a contatto con l’amianto (per i feltri da cementifici,
eternit), e più mescolate le parti contenenti amianto (fibra
mista).
L’umidificazione
veniva fatta anche sui feltri nuovi (cioè anche su quelli misti
cotone-amianto).
Tra
le lavoratrici della rammendatura ci sono stati almeno 2 casi di malattie
respiratorie, ma in un solo caso c’è stata una valutazione medica finalizzata,
e in quel caso Medicina del Lavoro di Padova stabilì che vi era “allergia”.
TRA
I CASI RICONOSCIUTI NELLA PERIZIA GRILLO C’E’ UNA LAVORATRICE DELLA
RAMMENDATURA.
SI
LAVORAVA ANCHE IL SABATO E FINO AL 1976 MOLTE VOLTE ANCHE LA DOMENICA
L’AMBIENTE
ERA SATURO DEI MATERIALI LAVORATI E SI RESPIRAVA A CONTATTO DI POCHI METRI TRA
LE DIVERSE LAVORATRICI PER CUI NON SI PUO’ ESCLUDERE LA RESPIRAZIONE DI POLVERI
DI AMIANTO PER QUELLE LAVORATRICI SEMPLICEMENTE VICINE A QUELLE CHE STAVANO
LAVORANDO CONTEMPORANEAMENTE SU FELTRI DA RIENTRO. QUESTO ASPETTO E’ COMUNE A
TUTTA LA PRODUZIONE DI FELTRI NUOVI CON AMIANTO E DI TUTTA LA LAVORAZIONE DI
FELTRI DA RIENTRO “ETERNIT”.
SEZIONE
2 - DOCUMENTAZIONE E DICHIARAZIONI DEI LAVORATORI DI CRITICA AI CRITERI
ADOTTATI NELLE PERIZIE GRILLO PER ESCLUDERE 54 DEI 62 LAVORATORI DEL PROCESSO
DAI BENEFICI PREVIDENZIALI
Feltrificio
Veneto SpA (1935-1995)
Funzione
del feltro è assorbire l’acqua contenuta dall’impasto cartario, mediante
compressione data dal passaggio tra
due cilindri, quindi ripetendo più volte questa operazione con più feltri, si
ottiene un foglio omogeneo con superficie e spessore voluto, che passerà alla
successiva operazione di essiccamento.
Il
feltro si presenta come un grande nastro trasportatore di una lunghezza che può
variare da metri 20 a 90, larghezza da metri 2 a 8 e spessore da millimetri 2 a
5, con diverse variabili nel suo interno, date dal tipo di tessuto, dalla
quantità e qualità di fibre che vengono aggiunte sulle due superfici.
La
capacità del feltro viene determinata dal potere di assorbimento dell’acqua e
dal ritorno allo spessore originale dopo schiacciamento che ne determina la
durata.
Ogni feltro viene calcolato su misura della macchina su cui sarà montato e in conformità al tipo di carta che andrà a produrre.
Come è fatto un feltro.
Composto
da un tessuto formato da diversi intrecci tra trama e ordito che ne determinano
la compattezza e lo spessore, considerando anche il diametro dei singoli
filati, spessore che può variare da 1 a 3 millimetri. Tale tessuto può essere
prodotto già in forma tubolare, oppure successivamente giuntato a mano, se la
misura è superiore alla disponibilità del telaio.
Le
misure in lunghezza e larghezza vengono calcolate considerando il conseguente
accorciamento ottenuto dal contatto con il cilindro riscaldato della calandra,
operazione che fa raggiungere al filato, uno stato di non
ritorno “termofissaggio” che evita un dannoso allungamento in fase di lavoro.
Il tessuto così ottenuto, viene teso all’interno di una macchina detta agatrice, e successivamente accoppiato con uno strato di fibra cardata in modo da ottenere uno spessore omogeneo, poi su questa fibra si abbassa una tavola contenente migliaia di aghi di sezione triangolare, con gli angoli uncinati in senso contrario a quello di penetrazione.
L’azione
di questi aghi è portare parte della
fibra al lato opposto del tessuto, fissando l’uno all’altro i due manufatti,
che con 30 o 40 penetrazioni per cmq danno la consistenza voluta, questa
operazione può essere ripetuta con più strati di fibra, modificando spessore e
diametro delle fibre stesse, sia da un lato che dall’altro.
Tra
i parametri di misura di un feltro importante è il peso espresso in gr x
mq in rapporto alla permeabilità
all’aria che solitamente è direttamente proporzionale alla capacità di
assorbimento dell’acqua.
Altro fattore da considerare è la superficie, che si può ottenere con uno strato di fibre di diametro più sottile, determinante nella fase finale della parte umida e in posizioni dove la carta deve aderire al feltro per esigenze di trasporto.
Una
macchina da carta può contenere in media
3 feltri nella parte umida e 3 feltri agati o tele, nella parte di
“seccheria”, dove l’alta temperatura asciuga la carta definitivamente.
I feltri o tele di seccheria, vengono
costruiti in conformità della posizione che andranno ad occupare nella macchina,
considerando sempre il risultato lavorativo del precedente che, se negativo,
si provvede alla giusta modifica.
Per tela di seccheria si intende un tessuto
rigido di alta permeabilità che consente la rapida asciugatura della carta, naturalmente composta da fibre
resistenti al calore ed all’idrolisi, tipo poliestere, fibre continue vetro,
amianto, o altre fibre di composizione sperimentale continuamente proposte dai fornitori.
Anche in questo caso la tela viene
termofissata per assicurarne la stabilità ed eventualmente trattata con resine
epossidiche per proteggerla dall’usura , sovente viene aggiunto uno strato di
velo, tramite agatura, quando la posizione richiede una superficie liscia.
Durante la fase di finissaggio in calandra,
si procede alla fusione dei bordi su tutti i manufatti , questo per evitare lo
sfilacciamento, causato dallo sfregamento delle palette guida feltro, alle
tele, che sono più vulnerabili in
questo punto, viene eseguita una ulteriore spalmatura di resina
epossidica, per un paio di centimetri, su tutta la lunghezza.
La vita lavorativa delle tele agate e non,
può essere di qualche anno, mentre per i feltri di parte umida, si riduce a
poche settimane.
Modalità di lavorazione.
Dal prodotto grezzo, cioè fibre pressate in
pesanti balle reggettate, si otteneva un misto idoneo per la successiva
operazione di filatura, reparto composto da macchinari che trasformavano la
fibra preventivamente cardata, in un filato di aspetto grossolano, con pochi
giri di torsione che assumeva le proprietà ottimali dopo il passaggio in
filatura.
Reparto che otteneva i filati più disparati,
accoppiando i vari ritorti di nostra produzione con altri acquistati da vari
fornitori, lavorazione effettuata con macchinari disposti in linea, con
centinaia di rocche che andavano a formarsi in simultanea a forte velocità.
L’operatore seguiva costantemente la
produzione per riparare le eventuali rotture, ripristinandole manualmente con
semplici nodi, o riavviando la singola rocca.
Prodotto che era inviato direttamente nel
reparto tessitura dove provvedevano al caricamento dei telai, mentre per le
navette, le grandi rocche venivano trasformate in affusolate spole.
Nonostante le moderne automazioni, le
procedure per tale produzione sono prettamente manuali, es. i telai di grandi
dimensioni, costringevano l’operatore quasi incastrato tra il pettine e
struttura portante, ad un lavoro di ore per il caricamento del telaio, che
anche se aiutato meccanicamente, doveva inserire migliaia di filati in
altrettante fessure di pettine e quindi a diretto contatto con il materiale di
lavorazione che a seconda dei casi rilasciava un certo numero di fibre di
diversa natura nell’aria.
Dopo l’avviamento, il telaio doveva essere
continuamente seguito per le frequenti e normali anomalie, che venivano
manualmente corrette, il cambio di spola “filato all’interno della navetta” era
effettuato con frequenza regolare, dipendente dalla capacità della stessa.
In questo reparto, oltre che
all’inquinamento da polveri dobbiamo considerare l’inquinamento acustico che
superava ampiamente gli 80 Db.
Al successivo passaggio in rammendatura si
provvedeva a ripristinare correttamente sia il punto di cambio spola che i vari
difetti di tessitura corretti un parte o di difficile attuazione a telaio.
Reparto costituito prevalentemente da
personale femminile data la nota manualità nel rammendo, che veniva effettuato
con il tessuto teso verticalmente per favorirne l’osservazione in controluce e
poter intervenire nei due lati.
Tra le varie mansioni, detto personale
provvedeva a giuntare manualmente il tessuto riproducendo filato per filato il
difficile disegno tra trama e ordito.
Il personale di ogni reparto provvedeva a
portare il manufatto al passaggio successivo tramite carrelli spinti a mano, in
questo caso, dopo il rammendo il tessuto veniva portato in calandra.
Come già detto l’importante funzione del
termofissaggio dato dal calore dei
grossi cilindri riscaldati ad olio fino a 180°C era soltanto la prima fase del
lavoro di questo reparto, poiché il feltro dopo agatura, tornava per essere
stabilizzato e successivamente raffilato.
L’operazione di carico in macchina era
effettuata manualmente, con l’ausilio di almeno 4 persone o con l’aiuto di un
sollevatore elettrico per i feltri più pesanti, fino a 4/5 q.
Reparto questo, con temperatura elevata a diretto contatto con i feltri, che
riscaldati tendevano a disperdere polveri e con uso continuo di prodotti
chimici di varia natura, es. clorotene in notevole quantità, sia per i lavaggi
che per i trattamenti a base di resine epossidiche che catalizzavano con il
calore, frequente l’uso del benzochinone come colorante.
Si eseguivano lavaggi sui feltri nuovi per
eliminarne i vari appretti o impurità, in questo modo si poteva poi ottenere
una superficie speculare, indispensabile ad esempio per la stampa.
Ma più frequenti erano i lavaggi su feltri
usati, resi dai clienti che intendevano sfruttarne al massimo a produttività, a
questo scopo venivano studiate le varie tipologie di lavaggio idonee a
rimuovere o sciogliere il materiale di intasamento, dalle soluzioni acide per
sali solubili, alle alcaline o solventi, per resine e peci, usate come collante
per le fibre cartacee.
Per i feltri intasati da materiali
insolubili, tipo caolino, talco, amianto, ecc. si procedeva con la rimozione
forzata, mediante getti di acqua ad alta pressione.
Quindi dalla calandra, uscivano prodotti
finiti da inviare al reparto spedizione, dove, dopo le dovute operazioni di
controllo, venivano arrotolati su un’anima di ferro o cartone e imballati e
prodotti da inviare al reparto agatrice, per le procedure sopra descritte.
Anche in questo caso il rumore e la polvere
erano elevati, le tavole contenenti 30.000 o 40.000 aghi, con una larghezza
fino a 10 metri, si alternavano in un movimento verticale sopra il feltro, con
una velocità che le rendeva invisibili alla vista, è per ovviare al disagio
acustico che le pareti e soffitti di questi reparti, erano coperte da un
impasto contenente amianto o da pannelli di lana di vetro, mentre non esisteva
nessun tipo di protezione per quanto riguardava le polveri.
Per quanto riguarda la manutenzione,
l’azienda era dotata di un’officina adeguata, con personale competente che
provvedeva continuamente al controllo o eventuali riparazioni di tutti i
macchinari, nonché la conduzione delle caldaie, poste nelle vicinanze del
reparto.
L’intera produzione era controllata
sistematicamente dai componenti del laboratorio chimico, con prove fisiche di
trazione su filati e campioni di feltro, controllo dei parametri previsti durante
la produzione nei vari reparti, studio delle soluzioni di lavaggio,
determinazione delle sostanze di intasamento su feltri resi e analisi sulla
composizione di manufatti usati di concorrenza.
L’uso delle fibre di amianto è cessato
intorno al 1990, per le note proprietà negative alla salute.
L’azienda tra gli anni 70 e 90, contava in
media 340 dipendenti, con circa il 40% di personale femminile in 3 turni
distribuiti dalle ore 6,00 alle ore 22,00 per 5 giorni alla settimana.
Produzione
di manufatti per l’industria cartaria, centrali di depurazione, concerie,
stampa in genere e nastri trasportatori per lastre ondulate eternit, cemento
amianto.
Per
le cartiere, feltri in fibra sintetica, per trasporto ed assorbimento acqua,
nella prima parte e feltri e tele composti principalmente da fibre resistenti
al calore ed all’idrolisi, per la parte finale della macchina da carta, detta
seccheria.
Per
le centrali di depurazione “acque nere” tessuti filtranti in monofilo
poliestere.
Per
concerie e stampa, feltri in fibra sintetica di alto spessore, a supporto di
forti pressioni.
Per
lastre eternit, tessuto filtrante composto da ritorti e fibre continue in
poliamide.
Reparto mischia.
Preparazione dei vari
misti di fibre, sia per il velo da fissare al tessuto che per la produzione di
filato.
Reparto
filatura. (ritorcitura,
preparazione)
Preparazione dei filati
da utilizzare in produzione mediante ritorcitura e trasformazione da rocche a
spole (da inserire in navetta a telaio)
o accoppiamento tra più filati, per i prodotti acquistati, come filato di
amianto, o monofilo sintetico.
Reparto tessitura.
Composto da circa 50
telai da 2 a 16 metri di lunghezza, collocati in 2 sale comunicanti con controllo tessimento e cambio spola
manuale.
Reparto
rammendatura.
Passaggio obbligato per tutti i
manufatti provenienti dalla tessitura,
dove dopo un controllo accurato del tessuto posto in posizione verticale che
permetteva la visione in tutta la sua lunghezza mediante rulli posti a una altezza di circa 2 metri, venivano
corrette manualmente, eventuali anomalie di tessimento.
Diversi tessuti non tubolari venivano giuntati a mano, rispettando il complicato disegno di origine.
Reparto agatrice.
Fissaggio del velo sul tessuto di fondo, su ambedue i lati, tramite
tavole contenenti migliaia di aghi uncinati che ad alta velocità ancoravano le
fibre all’interno del tessuto
Reparto calandre, comprendente garzatura, follatura, lavatura.
Macchinari con cilindri
riscaldati fino a 180° del diametro di 1 o 2 metri per una lunghezza max di 10,
dove venivano termofissati i tessuti da inviare successivamente in agatrice, e
finissaggio dei feltri già agati, tele di seccheria e di depurazione.
Reparto lavatura.
Ripristino mediante
lavaggio chimico e meccanico, dei manufatti resi dal cliente per un successivo
riutilizzo. Questo servizio, oltre alle cartiere, ne usufruivano spesso i
costruttori di lastre di cemento amianto, causa l’intasamento rapido del
tessuto provocato dall’impasto di lavorazione.
Reparto spedizione.
Arrotolamento manuale ed imballaggio di tutti i manufatti.
Officina meccanica per la manutenzione dei macchinari e laboratorio chimico fisico, per
controllo del prodotto, coinvolti in tutto il ciclo produttivo.
I conduttori di caldaie
erano in forza al reparto officina, quindi anche manutentori.
Amianto
usato normalmente come coibentante su tubazioni ad alte temperature e come
impasto fonoassorbente alternato a
pannelli in fibra di vetro, applicato su soffitti e pareti.
Spoliere
e Filatura
Memoria di 8 Lavoratrici del reparto Spoliere e Filatura
Il
reparto in cui abbiamo lavorato era “Filatura e spoliere”: partendo da rocche
di filato si ottenevano spole per la trata [il trattamento] dei Feltri. Questo
reparto era situato tra il Magazzino Filati (in cui si trovavano le rocche di
filato) e il deposito Feltri pronti (che attendevano di essere spostati negli
altri reparti). Il reparto era senza finestre con soffitti bassi rivestiti
di amianto. Le rocche ([ce ne erano] anche in amianto) erano
contenute all’interno di diversi cassoni e scatoloni ed erano poste in
prossimità delle macchine. Le macchine (spoliere) dovevano essere caricate con
queste rocche: il filato che vi era contenuto veniva da noi preso e passato
attraverso dei freni d’acciaio.
La
macchina poi faceva passare velocemente il filato attraverso questi freni che,
quindi, dovevano essere costantemente controllati durante l’intera lavorazione
del filato per garantire una certa tensione.
L’attrito
tra filato e freni produceva la formazione di polveri.
Questi
freni avevano un’altezza prossima alla bocca/naso. Come risultato di
questa lavorazione si ottenevano le spole che venivano da noi prese in mano,
annodate e riposte in cassette vicino alle macchine.
Questa
lavorazione veniva fatta per otto ore al giorno per tutti i giorni fino al
1985/1990.
Più
volte al giorno (e alla fine di ogni turno), per disperdere l’accumulo delle
polveri che si depositavano, usavamo aria compressa per la pulizia delle
macchine; senza nessuna protezione (ad es. uso di mascherine).
Durante
queste lavorazioni ci veniva dato da bere mezzo litro di latte al giorno.
Il
venerdì, oltre alla lavorazione dei filati, si procedeva alla pulizia del
magazzino: le rocche dovevano essere sistemate bene all’interno dei cassoni.
Successivamente
dovevamo effettuare la pulizia del locale con delle scope per togliere le
polveri accantonate.
Tutto
ciò per i due turni lavorativi.
Marghera,
26/11/2007
In
fede Fusaro Marisa, Semenzato Annalisa, Zane Rita, Dal Corso Laura, Cavallin
Teresa, Ragazzo Claudia, Meneghel Marisa, Ragazzo Flavia
Tessitura
Testimonianza di Marcato Mario, nato 1955
Marghera, 19-11-2007
Dati dichiarati dall’azienda il 3-7-2002: “Lavora
in azienda nel reparto Tessitura dal 10-07-2002”
Effettua la
lavorazione di fibre d’amianto ai telai 22 e 25 situati vicino alla
porta della sala più piccola comunicante con quella grande.
Produceva feltri,
destinati all’esportazione in paesi esteri, in media 2 volte alla settimana
(non 2 volte l’anno).
Tra il 1973 e il
1985 ha effettuato questa lavorazione per 4 ore nel turno di 8 ore dividendo la
giornata con altro dipendente a causa dell’alta concentrazione di
polvere d’amianto.
L’unico mezzo di
protezione era l’obbligo di bere mezzo litro di latte.
La ditta ha sempre
cercato di nascondere cosa si lavorava effettivamente, non è mai stata in
regola con le norme di sicurezza. Nonostante le mansioni svolte fossero le
stesse per tutti i lavoratori solo ad alcuni di loro è stato riconosciuto
l’amianto.
Solitamente
venivano messi a lavorare nei telai con fibre di amianto i lavoratori più
giovani perché il tipo di lavorazione era semplice e perché non potevano
protestare per la polvere nociva.
Le indagini per
verificare la presenza di polveri nocive iniziate il 26/11/1984 sono state
effettuate in un periodo di crisi lavorativa.
Dichiarazione di Cervasato Gianfranco, nato 1955
Trivignano, 19-11-2007
Dichiarazione di Zancan Fabio
Dichiarazione di Bertoni
Nerio relativa alla propria esposizione all’amianto
Io
sottoscritto Bertoni Nerio ero esposto alle fibre di amianto per 8 ore al
giorno del mio turno di lavoro, per un periodo ultra decennale (dal marzo 1972
a tutto il 1982), in quanto addetto presso il laboratorio di analisi chimico-fisiche dei materiali.
Nella
perizia del CTU mi viene attribuita una esposizione per 8 ore al giorno a 0,6
ff/cc [fibre per centimetro cubo], ma inspiegabilmente solo per il biennio 1972-1973.
Va
osservato che:
1)
Non essendo
successivamente cambiata la mia mansione, non si spiega l’attribuzione di una
minore quantità di fibre/litro nel periodo 1974-1983.
2)
Comunque, con
tale esposizione, in base al sistema di calcolo Verdel e Ripanucci applicato al
biennio 1972/1973, la mia esposizione media annua giornaliera per i circa 11
anni di lavoro sarebbe superiore alle 100 fibre/litro, con conseguente diritto
al riconoscimento dei benefici previdenziali.
Pertanto,
visti i punti 1 e 2, ritengo ci sia stata una svista o un banale errore di
calcolo nel mio caso, poiché se mi vengono applicati gli stessi metodi di
calcolo di ricorrenti con esito positivo, anche nella mia posizione il
risultato sarebbe altrettanto positivo.
Memoria di Stevanato Ornelio – reparto agatrici – Feltrificio Veneto e Albany Marghera
Consegnata
in data 3-12-2007 presso la sede AEA di Marghera Piazza Mercato 14.
Durante
l’incontro tra i lavoratori della rammendatura con Semenzato e Dorigo
Feltro
da rientro del 05-09-1973 della ditta Germagnano, riparato il 21-03-1975 che
conteneva amianto e che è stato rispedito in data 17-10-1975.
(IL
DOCUMENTO RISULTA ALLEGATO AGLI ATTI all.n.10 –pag.14 della perizia depositata
16 gennaio 2006)
Quindi
permanenza in fabbrica per 2 anni e 1 mese. Venivano lavati, calandrati, agati
ecc., … come descritto dallo stesso documento.
Conseguenza
ne è che i feltri di rientro (denominati eternit) prima di essere
riconsegnati rimanevano in azienda per più di due anni (certificato dal
documento di cui sopra).
Anche
calcolando solo il rientro di 4 feltri all’anno (ipotesi molto al di sotto
della realtà) dal 1976 al 1985 e di due feltri dal 1986 al 1990 più il
feltro nuovo dal 1976 al 1990 (pagg.5-10), si può definire in maniera sicura
che in azienda avevamo sempre feltri con amianto in tutti i giorni dell’anno in
attesa di essere lavorati. Questi feltri nei tavolacci venivano più volte
al giorno presi per mano e rimescolati in quanto messi uno sopra l’altro e
quando si doveva prenderne uno, magari era sotto e si doveva rimaneggiare tutta
la pila.
Feltro
da rientro quindi intasati di pasta cemento-amianto. Pasta non del tutto rigida
in quanto screpolata e con fibre di amianto nude e libere (da rivedere i tempi
di esposizione in base a questo e quindi non considerare solamente i tempi di
agatura vera e propria in macchina).
Il
feltro da rientro delle aziende produttrici di eternit arrivava presso
il Feltrificio Veneto in quanto intasato e non più in grado di svolgere la
funzione originaria, ripulito e rigenerato.
Naturalmente
il feltro intasato lo era della materia con cui aveva lavorato cioè cemento
amianto.
La
nostra lavorazione su tali prodotti era così fatta: lavato in reparto calandra
e poi passava in agatrice.
Prendendolo
per lano dal tavolaccio in cinque-sei persone, in quanto duro e pesante, lo si
apriva, molte volte lo si girava e si montava in agatrice.
Quindi
dopo averlo fatto girare alcuni giri per pulirlo e farlo girare diritto lo si
agava.
L’agatura
è una lavorazione particolare che adoperando aghi (con tacche uncinate)
penetravano le fibre del feltro e portavano le fibre stesse in profondità
legandole tra esse e creando un prodotto più compatto e uniforme.
[NOTA
SULLE DIMENSIONI VARIAVANO DAI 3 AGLI 8 MT DI LARGHEZZA, E DAI 15 AI 90 METRI
DI LUNGHEZZA, testimonianza orale, 3-12-2007, ndR]
Cioè
si facevano entrare nel feltro gli aghi (con tacche uncinate) che lo
penetravano tutto e fuoriuscivano per circa 8,10, 11, 12, … 15 millimetri, con
una densità di 18, 22, 25, 32, 36, 45, 50 penetrazioni per ogni centimetro
quadrato del feltro per ogni giro di agatura (si facevano diversi giri) e alla
velocità che andava dalle 200 alle 600 battute al minuto tenendo presente che
ad ogni battuta entravano nel feltro migliaia di aghi contemporaneamente.
25 colpi x cm2 36 colpi x cm2 50 colpi x cm2
Il
rumore e la polvere di cemento amianto e fibre rotte dello stesso feltro erano
talmente tante che è difficilmente spiegabile. Lo potrà spiegare solo il
risultato finale che rendeva il feltro pulito e rigenerato, cioè tutto il
cemento, amianto ed altre impurità venivano frantumate e polverizzate.
Naturalmente queste impurità rimanevano sopra la macchina, dentro il bauco
(deposito aperto da migliaia di fori corrispondenti alle migliaia di aghi) e in
ogni angolo più o meno nascosto del reparto tutto.
Molta
di questa polvere veniva pure a depositarsi (naturalmente e anche agevolata
dall’impianto di ventilazione che lo manteneva costantemente in movimento)
sopra le capriate.
Oltre
alla pulizia particolare che veniva effettuata dopo tali lavorazioni (sommaria
con aria compressa), di norma ogni settimana veniva dedicato un intero turno di
lavoro di otto ore alla pulizia reparto.
Anche
questa operazione si eseguiva prevalentemente con aria compressa e di
conseguenza, reimmissione in circolo di fibre (di amianto) depositatesi.
In
conseguenza di ciò non ritengo si possa paragonare la nostra esposizione di
fibre/litro a nessun altro reparto od operazioni di lavoro magari con prodotto
fermo-statico, mentre in agatrice il feltro veniva perforato e battuto in tutta
la sua superficie con miliardi e miliardi di perforazioni.
[RITENGO]
sia da rivedere infatti la nostra esposizione sia in quantità di fibre/litro
che in tempi di esposizione (costantemente) e non solamente per i tempi
calcolati di agatura feltro.
Che
i feltri di rientro avessero amianto è certificato anche dal documento del
funzionario di vigilanza Francesca D’Anna (INAIL):
“Dalle informazioni richieste in
relazione al prodotto denominato eternit citato nella lettera del 28-05-2001,
inviata dalla Confederazione Italiana Sindacati Autonomi dei Lavoratori, si è
venuti a conoscenza che trattavasi di un tessuto in fibra sintetica non
contenente amianto, impropriamente chiamato eternit dagli operai in quanto,
avendo una trama e un ordito piuttosto grossi e larghi con un nodo la cui
pressione serviva a dare la compattezza alle lastre, veniva utilizzato
dai clienti per la produzione di lastre di cemento amianto.”
(pag.23)
“In Italia il primo caso di carcinoma
bronchiale in un lavoratore dell’amianto fu pubblicato da Rombolà nel 1955: si
trattava di una donna di 49 anni, che per 29 anni aveva lavorato come filatrice
di amianto, e che era affetta da una forma lieve di asbestosi, già indennizzata
dall’INAIL.” (pag.28)
“Mesotelioma peritoneale in operai e
operaie di aziende tessili dell’amianto in Inghilterra. (Keal 1960).”
(pag.29)
(Primo caso in Italia = donna [OPERAIA] tessile mentre non si è a
conoscenza di fabbriche tessili [IN] cui siano stati concessi i benefici di
legge)
Gestione dei feltri da
rientro
Memoria di Angelo Cattaruzza – caporeparto agatrici – Feltrificio Veneto e Albany Marghera
Sottoscritta
in data 26-11-2007 presso la sede AEA di Marghera Piazza Mercato 14, anche da
altri 4 lavoratori
Durante
l’incontro tra i lavoratori dell’agatura con Semenzato e Dorigo
I
feltri “Usati” di rientro in Feltrificio da parte dei clienti, provenienti sia
dalle cartiere che dai cementifici erano visionati nel reparto Spedizioni dai
responsabili del Laboratorio di Analisi. [Il rientro era dovuto all’alto costo
dei feltri, ndR]
L’analista
compilava una Scheda di Rientro nella quale era specificata la Ragione Sociale
del cliente il numero di matricola del manufatto (se leggibile, o noto),
l’esame visivo, lo spessore misurato in mm e la permeabilità all’aria espressa
in mm di colonna d’acqua.
L’Usato
passava nel reparto Calandre dove era stoccato nell’attesa di essere lavato e
asciugato attraverso un’operazione di calandratura.
Nell’eventualità
che i lavaggi chimici non erano in grado di rompere i legami tra tessuto e
sostanze intasanti, erano frantumate per mezzo degli aghi dell’impianto di
agatura.
Il
responsabile di reparto implementava la Scheda di Rientro con i nuovi dati
dello spessore e della permeabilità all’aria che consegnava all’Ufficio Tecnico
(UTE).
L’UTE
nella persona del Direttore di Produzione giudicava i nuovi dati di spessore e
permeabilità all’aria congrui l’Usato passava in Spedizione dove veniva chiusa
la Scheda di Rientro che ritornava all’UTE e l’Usato rispedito al cliente.
Nel
caso in cui i dati di spessore e permeabilità all’aria, non fossero stati
giudicati validi da parte dell’UTE, l’Usato in esame seguito dalla Scheda di
Rientro passava in carico al reparto Agatrici.
La Scheda di Rientro era consegnata al Capo Reparto e l’Usato stoccato in reparto nell’attesa di una lavorazione. I tempi d’attesa si potevano quantificare da una settimana, ad un mese ed oltre, secondo le richieste del cliente. Gli Usati erano accatastati separatamente se provenienti da cartiera o da cementifici per evitare Inquinamenti da contatto. Questi erano maneggiati più volte perché gli usati più vecchi si trovavano sempre nella parte Inferiore della catasta. Con l’operazione di Agatura per mezzo dell’azione meccaninca con migliaia di aghi erano frantumate le sostanze intasanti che non erano state eliminate con il lavaggio chimico. Tali polveri che ne scaturivano costringevano a lunghi tempi morti della macchina per la pulizia e la sostituzione di centinaia di aghi rotti. Queste operazioni furono interrotte nel 1993 a causa dei lunghi tempi morti e degli elevati costi di gestione che impedivano la fabbricazione del prodotto nuovo.
SCHEMA DEL REPARTO AGATRICI (fatto alla lavagna dal caporeparto Angelo Cattaruzza)